Intervista a Saimir Xhaxhaj, chef di La Canonica

Pubblicato il 20 marzo 2018

Intervista a Saimir Xhaxhaj, chef di La Canonica

La Canonica, ristorante gourmet e vero gioiellino del Lollo’s Group (http://lollosgroup.com/), è ormai entrato nella rosa dei migliori ristoranti di Verona e provincia, qual è il segreto? La location centralissima, intima e dalle linee pulite si presenta con eleganza, il servizio e lo staff sono impeccabili… Ma tutto ciò non sarebbe possibile senza il cuore, il palato, l’immaginazione e le mani, senza lo chef Saimir Xhaxhaj, giovane, talentuosissimo e dal cognome impronunciabile, uno che lavora sodo e con umiltà ma che non vede l’ora di raccontarti la sua storia, uno che non si fa attendere quando ti dà appuntamento (anzi, ti apre la porta) ma che ti conduce in un mondo di cucina ad altissimo livello.

Quando e come è nata la tua passione per la cucina? 

Durante la scuola alberghiera, facendo pratica: ho iniziato a lavorare a 16 anni, abitavo in Toscana e mi sono presentato in un ristorante-pizzeria chiedendo d’imparare il mestiere, come un vero apprendista.

Quali sono state le tue esperienze più importanti?

Dopo vari locali, ho imparato veramente cos’è la cucina in un relais chateau 4*, eravamo io e lo chef, spesso rimanevo solo, così ho preso il coraggio per crescere; venne a mangiare uno chef di Firenze che mi chiamò a lavorare con lui in un Helvetia Bristol 5* lusso, avevo 19 anni e in due anni nell’hotellerie di livello ho imparato moltissimo; così sono passato al Salviatino a Firenze con Carmine Calò, in un 5* lusso con cucina gourmet in cui Carmine dava la sua impronta, mi ha istruito e insegnato tantissimo e quando lui nel 2012 è venuto qui a Verona al Borsari 36 di Palazzo Victoria, io l’ho seguito.

Il passaggio dalla ristorazione di massa a quella d’élite è stato voluto o casuale? 

Ho sempre voglia di crescere, grazie ai posti in cui ho lavorato ho avuto un’evoluzione graduale dalla cucina tradizionale a quella gourmet, la mia passione è nata lavorando e ancora oggi mi sento come all’inizio: un vero chef ha sempre bisogno del cambiamento, anche rimanendo nello stesso ristorante.

Che cambiamenti metti in atto a La Canonica?

Qui cambiamo il menù ogni tre mesi: per i clienti va bene perché così hanno il tempo di provare e ricordare, ma per me dopo un mese il menù è già vecchio e noioso, è una sofferenza, una routine!

Chi è il tuo punto di riferimento in cucina?

Ho imparato tantissimo da Carmine Calò, in tre anni e mezzo mi ha insegnato tante cose, ma quando si ha un buon maestro si deve essere bravi a capire l’abilità di chi ti insegna, anche quella è una nuova sfida da affrontare.

L’ingrediente che ami cucinare e quello che, invece, non ti piace? 

A me piace cucinare tutto, non esiste nessun ingrediente che non mi piace. È difficilissimo scegliere, forse i miei preferiti sono quelli alla base della cucina mediterranea, io sono di origine albanese e fanno parte della mia cultura… Credo che il mio preferito in assoluto sia il pomodoro, anche se mi piace usare ingredienti esteri, magari poco conosciuti in Italia.

C’è un piatto che ti rappresenta perché ti piace?

Gli spaghetti al pomodoro! Questo piatto fatto bene mi fa impazzire, non mi stupirei di trovarlo in un ristorante stellato, perché sembra semplice ma pochi sanno farlo bene: si tratta di materia prima, di come lo si cucina.

Come definiresti la tua cucina con tre aggettivi? 

Creatività, semplicità, equilibrio. E anche umiltà, ma quella serve per lo chef.

Come si fa a creare grandi emozioni in cucina?

Non è facile perché l’emozione è soggettiva e ogni persona ha un palato diverso, non è un puro fatto di esecuzione. Il modo migliore per creare grandi emozioni è cercare di realizzare piatti equilibrati, un piatto può cambiare radicalmente nel dosaggio degli ingredienti.

Il percorso della creazione in tre passaggi chiave:

La materia prima deve essere al top, poi viene l’abbinamento e alla fine il dosaggio.

Dove trovi la tua ispirazione?

Di notte, quando vado a letto, anziché dormire sto lì un paio d’ore a pensare a un nuovo piatto, e se il giorno dopo me lo ricordo (o se ho preso appunti!) lo provo: a volte funziona, a volte no, sento il parere dello staff perché mi danno suggerimenti buoni e modifiche che vale la pena di provare, ma il piatto deve piacere a me.

Quindi tutto quello che si mangia a La Canonica, a te piace.

Certo, è fondamentale.

Cosa propone la cucina di Saimir a La Canonica? 

Anche se il menù cambia, una costante sono i piatti firma: la Capasanta bruciata con cipolla caramellata, nocciole tostate e salsa al lime, e lo Spaghettone cacio pepe con tartare di gamberi rossi di Sicilia e lime. Il primo va bruciato con il cannello, la capasanta rimane quasi cruda e prende solo l’affumicato, con un abbinamento secondo me perfetto; il secondo viene mantecato con il grana al posto del cacio, e condito con un pepe Sichuan cinese. Li ho inventati io (come tutti i piatti proposti qui) e sono quelli più apprezzati da tutta la clientela.

Entrambi hanno il lime!

Sì, in effetti oltre al pomodoro mi piace tanto anche il lime.

Ci sveli una tua ricetta?

In realtà la descrizione dei miei piatti svela già gli ingredienti, il segreto è il procedimento, il valore del piatto sta nel fatto che nessuno lo sa mettere in pratica come me, stiamo ragionando sui grammi e gli ingredienti non hanno misure standard.

Così ritorniamo all’inizio dell’intervista, in cui abbiamo scoperto che la tua passione è nata lavorando… 

Sì, io sono uno da battaglia! Faccio questo mestiere da tredici anni e negli ultimi cinque ho notato che è molto difficile trovare persone che si siano fatte le ossa in cucina in posti… Da battaglia! Molti provengono da scuole prestigiose e arrivano subito in locali di livello ma sono troppo astratti, non hanno fatto la gavetta, se vengono rimproverati vanno in tilt. Le esperienze negative ti formano, le sfuriate dello chef servono, essere trattati male serve, io l’ho capito ora, stando al timone della mia brigata.

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scritto da:

Camilla Cortese

Due lauree, otto redazioni, sette lavori, un licenziamento, due romanzi. Una casa, due gatti, trenta piante, milioni di parole. Del più brutto libro della storia salvo il titolo: Mangia (tutto), prega (la tua psiche), ama (te stesso e chi lo merita).

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