Non poteva concludersi in modo migliore l'Hydrogen Festival, che mercoledì 29/07 ha visto dieci mila persone ballare sotto la pioggia con la musica di Lenny Kravitz. Che fosse un personaggio carismatico, questo lo si sapeva, ma che, a 51 anni compiuti, fosse ancora in grando di infervorare gli animi di una moltitudine bagnata fradicia è stata una vera sorpresa. 


La formula vincente è stata, e non è una banalità, la musica. Il concerto, infatti, è stato concepito per dare risalto non solo al divo dall'immagine indubbiamente affascinante, ma ad ogni singolo componente di una straordinaria band. Tre coriste potenti e sinuose, che sottolineavano ogni linea melodica con voci penetranti e movenze ipnotiche, una sezione fiati che ha stupito con assoli vertiginosi, una bassista ed un tastierista impeccabili e due capisaldi della formazione musicale che da sempre accompagna il cantante statunitense, la selvaggia batterista Cindy Blackman e il chitarrista fautore dei riff indimenticabili di tutte le hit che conosciamo a memoria: Craig Ross. Ognuno di loro ha avuto una parte fondamentale nel concerto, che si è svolto in perfetto interplay tra queste eccezionali personalità musicali. 


Un altro grande plus dell'evento live è stata la scelta del repertorio, che non è apparsa dettata da necessità commerciali di spinta del nuovo album di Lenny, Strut, ma è sembrata piuttosto una piacevole selezione dei suoi brani più belli di sempre. Dopo l'apertura con la nuovissima Frankenstein, che è comunque una delle composizioni più coinvolgenti del suo ultimo lavoro, Lenny ha interpretato impeccabilmente i suoi successi: tra cui, It Ain't Over 'til is Over and Always on the Run (1991), American Woman (1998), Sister e Believe (1993).


Non ha deluso neppure la presenza scenica di Lenny Kravitz, che ha condotto lo spettacolo in maniera ineccepibile: energia, carisma e magnetismo gli ingredienti per una miscela esplosiva, detonata nel momento in cui, da vero e irriducibile rocker, il cantante si è lanciato tra la gente ed è poi comparso sulla terrazza che dà sulla piazza porticata, intonando le ultime note di "Let Love Rule" (1998). 


Nemmeno la ripresa della pioggia, fredda e ventosa questa volta, ha scoraggiato il pubblico in attesa di un brano finale che lo facesse saltare. La risposta non si è fatta attendere: Are you gonna go my way (1993), eseguita con una carica incredibile dai musicisti più esaltati che mai, ha fatto dimenticare la temperatura e il disagio per lasciare spazio a diecimila cuori rockettari che, impavidi che neanche a Woodstock, hanno cantato, gioito, ballato e saltato per concludere in bellezza un evento di rara potenza, musicale e non solo.

Recensione di Elton Meyer. 

Foto copertina "Shout It Out" di Mike. Da Flickr. CC.

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