Viaggiare nel gusto senza muoversi.
O meglio. Lasciandosi cullare dalle prelibatezze dello chef Giorgio Trovato e della pasticcera Stefania Erroi comodamente seduti al tavolo del loro Giardino dei Tolomei Restaurant.
Non è forse questa la differenza tra una ristorazione classica e una proposta di alta cucina? Io credo di sì.


Aldilà delle presentazioni dei piatti, che comunque sono curate in ogni dettaglio, e della professionalità impeccabile di un servizio di sala attento e mai invadente, la vera impresa è riuscire a fare assaggiare ai propri ospiti dei piatti originali che mixano ingredienti inusuali, sono realizzati con tecniche diverse e che non potrebbero essere gustati altrove.
Piatti che sorprendono ed emozionano, piatti che vorresti non finissero mai.
E invece finiscono in men che non si dica.


Questo succede a Racale, in un ristorantino che ha tutte le carte in regola per diventare il mio posto del cuore, che nei suoi menù degustazione racchiude in sé tutta l’esperienza e la cultura gastronomica che lo chef ha raccolto in giro per il mondo.
Contaminazione e sorpresa sono le parole chiave nelle quali si rispecchia l’effetto di causa – effetto che crea la cucina di Giorgio Trovato.


Lui contamina con il gusto e il nostro palato ne rimane sorpreso, ammaliato. Il tipico effetto wow che ci accompagna dall’aperitivo di benvenuto e ci abbandona non prima del giorno seguente, quando ancora ricordiamo con estremo piacere l’esperienza gastronomica vissuta.
Del resto il Salento – invaso e conquistato da diversi popoli nel corso dei secoli - è sempre stato un territorio di contaminazioni e quindi lo chef continua su questa scia, non tralasciando, però, la materia prima km 0 di un certo livello.


Tutti i piatti del menù, infatti, partono dalle eccellenze locali come i prodotti del mare, dell’orto, le carni, i formaggi, le erbe spontanee, i legumi e via dicendo, ma poi sono esaltati grazie all’utilizzo di elementi e tecniche provenienti da altre regioni, nazioni e continenti.
Piatti che hanno una base territoriale, ma che vestono abiti diversi. Piatti complessi, ma tutti volti a esaltare il grande protagonista della ricetta. Siamo in Salento, ma siamo anche altrove.
Pronti, partenza, via.


Destreggiandosi con estrema eleganza tra i tavoli arriva Stefania con un vassoio colmo di sfizi da raccontare secondo un ordine ben preciso.
Si tratta dell’aperitivo di benvenuto dello chef, comprensivo di diverse portate da accompagnare con un calice di bollicine o uno shottino di cocktail.
Ma attenzione: guai a invertire la rotta, perché ogni portata ha una funzione particolare e insostituibile.


Per questo si comincia il viaggio con una sferetta verde di caipirinha servita su un cucchiaino, che va fatta scivolare e poi esplodere in bocca. Che freschezza incredibile – penso – e subito capisco che la sua missione è stata compiuta: l’obiettivo di questo primo amuse bouche, infatti, è quello di azzerare ciò che c’era nel palato fino a quel momento e di prepararlo all’esperienza che ci si appresta a vivere. Le papille gustative si aprono completamente e in noi si fa sentire una sensazione di attesa. Attendiamo altre sorprese.


La prima è una mini tartarina di barbabietola servita con senape di Digione al miele e ravanello fresco: delicata e particolare, trattata da chi sa come “manipolare” i vegetali esaltandoli al meglio. Mi viene da dire: se tutti i bambini assaggiassero le verdure in questa veste, nessuno chiederebbe patate fritte. Ma continuiamo.
Arriva in tavola il pane caldo accompagnato da una serie di burrini d’alpeggio, il primo mantecato con cristalli di sale Maldon, gli altri aromatizzati rispettivamente al limone e prezzemolo, alla melanzana e al polpo.


E ancora chips di riso carnaroli, grissini tagliati a mano con farine autoctone di grani antichi, crackers artigianali in 4 diversi gusti (uno al grano arso, uno integrale, uno multi cereali e l’ultimo, speziato, con zenzero curry e curcuma). Ma questi sono solo alcuni esempi, perché la cucina non è staticità bensì dinamismo, per cui ogni giorno gli ingredienti cambiano. Non solo degli impasti, ma anche di tutte le altre portate.


Soffice e gustosissima anche la briochina cotta al vapore fatta con canapa sativa alimentare e farina Senatore Cappelli, che racchiude al suo interno un fantastico caviale di melanzane e polvere di liquirizia Amarelli.
Si prosegue con un cannolino ripieno di ricotta di bufala e completato ai lati con polvere di pistacchio, a ricordare il suo corrispettivo dolce, racchiuso in un guscio croccante di carota, che talvolta – mi svelano – si fa anche con il peperone crusco o la patata.


Il peperone arriva, però, nel seguente assaggino, sotto forma di gelatina alla base di una patata royal fritta e passata al forno. Nessuno lo direbbe perché è leggerissima e dell’olio non c’è alcuna traccia. Di certo c’è che l’esterno croccante fatto con briciole di pane e friscous si sposa benissimo con la purea all’interno, creando un contrasto di consistenze piacevolissimo.
E la lisca? Non è pesce, ma un patè di fegatini di pollo alla senese, spolverata con semi decorticati di canapa sativa alimentare che hanno l’incombenza di donare freschezza.


E siccome avevamo aperto con un cocktail in formato sferico, allo stesso modo chiudiamo il momento aperitivo, con quello che vuole essere una traslazione di Bloody Mary: una sfera di pomodoro e tabasco poggiata su briciole di frisella alla canapa sativa.
Un aperitivo con la A maiuscola, che promette ancora meglio.


Entriamo nel vivo della degustazione con un carpaccio vegetale, senape di Digione, sfere di caciocavallo affinato in grotta, germogli e spuma al pistacchio.
Anche qui, come per la lisca, c’è un aspetto ludico visivo e gustativo importante, perché anche se il carpaccio ha le sembianze della carne, di carne non si tratta.
É anguria marinata. Mentirei se dicessi che me ne sono resa conto.
Il prossimo step ci porta in pieno Mediterraneo, con un piatto iconico del Giardino dei Tolomei Restaurant e con il quale, tra l’altro, nel 2011 lo chef ha vinto il primo premio al Cous Cous Festival di San Vito Lo capo.


Avete capito che si tratta del cous cous, un feticcio di Giorgio, che spesso gli dona diverse interpretazioni. Stavolta è aromatizzato al curry e impreziosito da caponatina di verdure, frutta secca, filetti di arance e pompelmo rosa, ravanelli, germogli, gambero violetto di Gallipoli crudo e maionese al plancton. Un piatto dotato di una freschezza unica, ma al contempo complesso e super equilibrato. Veramente un capolavoro.
Ritroviamo il battuto di gambero di Gallipoli anche sullo spaghettone fresco cotto in fondo di crostacei con polvere di wasabi e lime, un piatto del 2018 anch’esso apprezzatissimo e che è entrato a piedi pari nella Limited Edition dello chef, ovvero nel menù dei piatti iconici da non perdere.


Viene completato al tavolo al momento del servizio, non senza una componente scenografica grazie all’apertura della campana dalla quale escono i fumi dell’affumicatura.
Grazie a questo piatto lo chef dà anche dimostrazione di quanto abbia a cuore il concetto di cucina etica e rispettosa delle materie prime, utilizzando al 100% ogni prodotto e non esclusivamente la parte nobile. Con le teste dei gamberi ha preparato il fondo di crostacei, con il carapace la polvere che ne esalta la sapidità e il corpo, naturalmente, viene disteso a crudo sopra lo spaghetto.


Non poteva mancare un assaggio alla new entry del menù di quest’anno, la pizza gastronomica, che di pizza ha esclusivamente la forma. Si tratta di un disco lievitato, in questo caso alla curcuma, cotto al padellino sul quale sono adagiate diverse espressioni di arte culinaria. Questa versione vede protagonisti dei petali di baccalà, hummus di ceci dolce e piccante, germogli, pomodorini confit, pomodorini freschi gialli, rossi e verdi, ravanelli, lenticchie fritte e lime.
Ogni morso è a sé e racconta qualcosa di diverso.


L’ultimo piatto lo andiamo a scegliere dal menù di terra e ci colpisce per la non convenzionalità dell’insieme di ingredienti da cui è composto. Si tratta dei turcinieddhi alla birra rossa, quenelle di mele al wasabi, cavolfiore BBQ e polvere di liquirizia Amarelli.
Con questo piatto lo chef riuscirebbe a far mangiare i turcinieddhi anche a chi dice di non gradirli: oltre a essere cotti a regola d’arte, infatti, non evidenziano i tipici sentori ai quali siamo abituati, anzi.


Piacevole sorpresa il pre dessert, che sempre secondo la filosofia di cucina del ristorante, mira a ripulire il palato prima di passare alla portata dolce. È un sorbetto al basilico servito con olio EVO sopra un crumble di mandorle e canapa, gel ai frutti rossi, mirtilli, foglie di basilico e menta.
E in gran finale ecco a voi il Red Passion, un lollipop senza stecco, con cuore di mousse alla fragola, lampone fresco e guscio di cioccolato al lampone glassato ai frutti rossi, accompagnato da un brownie di cacao e fagioli rossi giapponesi. Interessante sia a livello gustativo che in un’ottica salutare.


Ah, quasi dimenticavo: se il merito dei piatti della cucina va all’abilità e all’estro dello chef, i dolci sono opera di Stefania, maestra pasticcera dotata di indiscutibile talento che quotidianamente crea diverse proposte di dessert legate alla stagionalità e alla sua fantasia.
La chiusura con un ottimo caffè, da scegliere tra una lista di circa 10 tipologie, tra monorigini, miscele con diverse intensità e aromatizzati e a seguire una carrellata di bon bon per coccolare il palato fino all’ultimo istante.





Il Giardino dei Tolomei - via Guevara 6, Racale. T: 3249241810

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