MARENUESCIU: LA STORIA VERA DI LETIZIA E CRISTIAN, CHE HANNO PORTATO IL MARE A SQUINZANO
Pubblicato il 17 novembre 2025 alle 16:00
Aldo abbaia. Sempre. È il primo a darci il benvenuto. Scodinzola tra le gambe dei tavoli come se quei legni chiari e vissuti li avesse montati lui stesso, uno per uno. E forse un po’ è così: perché qui, al Marenuesciu di Squinzano, ogni cosa ha una storia, ogni storia ha un nome, e ogni nome ha un cuore che batte.
Il cuore più rumoroso è quello di Letizia, parannanza d’ordinanza, coppola irriverente, voce di chi è rimasto tenero nonostante tutto, occhi grandi come una finestra spalancata. È un fiume in piena quando parla: di vita, di profumi, di radici. «Papà era ispettore di polizia, stava tra Milano e Bolzano. Era difficile crescermi, e così, a due anni, sono scesa giù da nonna. Da Nzina. Lei mi ha cresciuta. Lei è la mia cucina.»
È anche per lei, per quella nonna forte come un uomo e dolce come una pelosa in sugo, che il 3 luglio è diventata una data-faro: la festa del Signore ad Arnesano, il paese della memoria. Il 3 luglio del 2011 nasce il primo Marenuesciu. Il 3 luglio del 2020, dopo una vita intera nel mezzo, rinasce quello nuovo.
Accanto a Letizia c’è Cristian, coppola anche lui, papillon e un’educazione gentile che sembra di un altro tempo. Si conoscono da 35 anni: “ci siamo sempre inseguiti”, racconta lei. E solo quando tutto il resto sembrava crollare, si sono trovati davvero. Lui arriva come cameriere nel 2012, quando la vita di Letizia aveva più ombre che luce. Poi resta. E quel “restare” diventa amore, complicità, futuro.
Nel 2017 lasciano tutto e volano in Svizzera: due anni durissimi, fatti di lavoro sfiancante, formazione, e un infortunio che li lascia — letteralmente — in mezzo alla strada. Ma è nei crolli che spuntano i miracoli. Nel 2019 tornano in Salento e i pianeti, come dice Letizia, “si allineano”: il locale dei sogni si libera. È nella stessa via in cui lei abitava da bambina. È un cerchio che finalmente chiude.
Iniziano così mesi di pittura, viti, sedie restaurate, decoupage notturni, pesciolini ritagliati a mano, meduse che danzano sui tavoli. Tutto creato da loro: mani, cuore, risparmi. Poi arriva marzo 2020. E arriva anche il Covid. Aprire diventa impossibile. Sembra una maledizione, eppure il destino aveva un’altra data in tasca: 3 luglio 2020. Il loro giorno. Ancora.
Letizia è autodidatta. Nessuna accademia, nessun diploma, solo la memoria delle mani di nonna Nzina e le albe in mare con papà e fratello, pesca subacquea e meraviglia. Quando è entrata in cucina per la prima volta, nessuno ci credeva. “Una come lei”, dicevano. Finché una sera, nel caos totale, il cuoco se ne va. Cristian la guarda negli occhi: “Vai. Tocca a te.” È lì che nasce la cuciniera sognatrice.
Da quel giorno Letizia non ha più smesso di buttarsi.
La sua è una cucina sincera: una poesia salentina fatta di sughi di granchi, pelose, ricordi che profumano di campagna e mare. Cristian si occupa della sala, della spesa quotidiana — scelta etica, rigorosa — della contabilità. Di tutto ciò che serve a mantenere in equilibrio la barca mentre lei, ai fornelli, diventa capitano.
La carta dei vini parla salentino, le birre sono artigianali, la pasta fresca viene da Pasta d’Élite, l’olio da Donna Oleria. La materia prima arriva ogni mattina: niente compromessi, niente scorciatoie.
Quando spengono le luci tornano coppia. Prima, sono due colleghi che remano nella stessa direzione.
Noi lo abbiamo assaggiato per voi. E il viaggio vale ogni chilometro.
Si comincia con i gamberi viola di Gallipoli prima misura, crudi come il mare li vuole. Le ostriche Gillardeau, la carne soda delle seppie freschissime tagliate sottili, le cozze datterine che sanno d’estate.
Poi arriva lui: l’antipasto Marenuesciu, un percorso in otto portate che cambia ogni giorno, seguendo l’ispirazione della spesa. I più amati? Le friselline con marmellata alla pizzaiola, il crostone con spuma di polpo, la lasagnetta allo scoglio, la frittatina riso-patate-cozze che è coccola pura.
Il polpo a pignata su vellutata di fave nette e muersi fritti è un abbraccio. La zuppa contadina alla marinara, lentamente cotta in pignata, unisce legumi, cereali, gamberi e calamaretti in una carezza antica.
I primi cambiano con le stagioni: i ravioli alla zucca con spada, basilico e pecorino; le spiganarde al baccalà; le orecchiette “rape nfucate” con cozze e granella croccante; le signorine con tonno fresco al Primitivo.
E se siete ancora in piedi, arrivano i secondi: filetti di orata e spigola gratinati, tonno fresco scottato, fritture croccanti di calamari, paranza e totanetti.
I dolci sono un capitolo di infanzia: tiramisù alla salentina col mostacciolo, torta caprese, crostata d’uva, e gli spumoncini artigianali che sanno di domenica e di festa.
Si entra per la cucina.
Si torna per la storia.
Si resta per l’anima.
Perché Letizia e Cristian non hanno solo aperto un ristorante: hanno cucito un pezzo di vita nuova su ferite antiche. Hanno portato il mare nell’entroterra, la tradizione nel presente, il coraggio nel piatto.
E quando usciamo, Aldo abbaia di nuovo.
Forse per salutarci.
O forse per dirci: tornate presto.
E noi lo sappiamo già: torneremo. E anche voi farete lo stesso.