Daniele Catalano: "A Cantine a Mare ho ritrovato il valore del rapporto umano"
Pubblicato il 1 novembre 2025
Prima di sedersi a parlare con noi, Daniele Catalano sistema con cura le piante del dehors di Cantine a Mare. "Ci tengo molto", dice sorridendo mentre sposta un vaso, fa arrampicare le piantine sulla recinzione e controlla che ogni dettaglio sia al suo posto. È questo gesto apparentemente piccolo a raccontare già molto del suo approccio al lavoro: un'attenzione che va oltre il servizio al tavolo, che abbraccia l'ambiente nel suo complesso e che trasforma uno spazio in un luogo dove le persone vogliono tornare.
Con alle spalle un percorso che attraversa mondi diversi della ristorazione milanese e non solo, Daniele rappresenta quella figura sempre più rara di professionista completo, capace di portare l'esperienza del fine dining in contesti più informali senza perdere qualità, ma guadagnando in calore umano.
Daniele, come sono iniziate le tue avventure nella ristorazione?
"Ho iniziato per pura necessità, per mantenermi gli studi all'Accademia di Brera. Lavoravo come cameriere nei pub, era il classico lavoro da studente. Ma poi, con qualche conoscenza, sono arrivato nella ristorazione vera e propria, che era decisamente più conciliabile con gli orari dell'università. All'epoca pensavo fosse solo un modo per pagarmi gli studi, ma mi sono accorto che mi piaceva. C'era qualcosa in quel mondo che mi affascinava: il ritmo, il contatto con le persone, la soddisfazione di offrire un'esperienza. Da lì non mi sono più fermato."
Il tuo percorso dopo quegli inizi è stato particolarmente variegato...
"Sì, ho sempre cercato di non fermarmi mai, di accumulare esperienze diverse. Ho aperto un bed & breakfast a San Vito Lo Capo, in Sicilia, che nel tempo si è evoluto e adesso comprende anche un ristorante e una casa vacanza. È un progetto che porto avanti parallelamente e che mi ha insegnato moltissimo sulla gestione a 360 gradi di un'attività.
Tornato a Milano, sono stato all'Idroscalo, a Le Jardin au Bord du Lac, un posto bellissimo con una clientela particolare. Poi sono diventato responsabile al Revel, dove adesso c'è il Deus. Ed è stato lì che è iniziata una svolta importante nella mia carriera."
In che senso una svolta?
"Beh, il Revel aveva di fianco lo showroom di Alexander McQueen. Come società abbiamo cominciato a fare tanto catering proprio per il mondo della moda. È stato l'ingresso in un universo completamente diverso: eventi, sfilate, presentazioni. Un ambiente dove l'attenzione al dettaglio è maniacale e dove il servizio deve essere impeccabile ma anche discreto, quasi invisibile."
Immagino sia stata un'esperienza formativa importante...
"Assolutamente. Ho gestito a tutto tondo i catering di Versace, coordinando squadre, fornitori, tempistiche serratissime. Nel mondo della moda non esistono scuse: o è perfetto o non va bene. Quella pressione ti forma in un modo che difficilmente dimentichi. Poi sono passato a The Manzoni nel post-pandemia, un altro contesto di alto livello ma in un momento storico complicato per tutti noi del settore.
Ho persino gestito una pasticceria per un periodo, un'esperienza che molti colleghi di sala non hanno. Ma io credo fortemente che non sai mai quali competenze ti possono servire nella vita. Ogni tassello che aggiungi al tuo bagaglio professionale prima o poi torna utile. Adesso, qui al ristorante, sto conseguendo il secondo livello AIS per sommelier, perché voglio continuare a crescere e ad essere sempre più completo."
Come ti trovi a Cantine a Mare dopo tutte queste esperienze così diverse?
"Mi trovo benissimo, è un contesto che mi permette di mettere a frutto tutto quello che ho imparato. Qui abbiamo 4-6 persone in sala e cerco di portare la mia esperienza e soprattutto la mia pacatezza, per dare una linea guida agli altri ragazzi. Molti di loro sono giovani, hanno voglia di imparare, e io mi sento in dovere di trasmettere quello che so. Sono il più grande dello staff!
Ma la cosa che più mi piace è liberarmi dagli schemi rigidi del fine dining. Non fraintendermi, il fine dining mi ha insegnato moltissimo e ne ho grande rispetto, ma qui il rapporto con i clienti è meno formale, più amichevole. E questo non significa essere meno professionali, anzi. Significa essere professionali in un modo diverso, più caldo, più umano."
Cosa intendi esattamente quando parli di "fattore umano"?
"Intendo che in una ristorazione di quartiere come questa, le persone non vengono solo per mangiare bene. Vengono per sentirsi a casa, per essere riconosciute, per avere qualcuno che si ricorda come prendono il caffè o quale vino preferiscono. Il fattore umano qui ha un peso specifico molto più alto rispetto ad altri contesti. Non sei un cameriere che serve un tavolo e basta, diventi parte della routine quotidiana delle persone."
C'è qualcosa che ti colpisce particolarmente di questo posto e di questo quartiere?
"La domenica per me è bellissima, quasi emozionante. A pranzo tutti si riuniscono qui a mangiare: famiglie, coppie, amici. C'è un'atmosfera di convivialità che ti scalda il cuore. È bello avere confidenza con il cliente, ricordarsi di lui, sapere che quando torna si aspetta di trovare te e che tu ti ricordi di lui. Questo crea un legame che va oltre la semplice transazione commerciale.
Per me non è mai stato difficile adattarmi a stili e ambienti diversi, ma qui sento che c'è qualcosa di speciale. L'idea di fare una società con il titolare Angelo Altieri mi stuzzica parecchio, anche se bisogna sempre valutare bene quale sia l'obiettivo finale e dove si vuole arrivare."
Cosa ti ha conquistato del modo di lavorare di Angelo?
"La sua visione sull'aspetto umano del lavoro, sia con i clienti che con il personale. Angelo non vede i dipendenti come semplici esecutori, ma come persone con le loro storie, le loro necessità, le loro ambizioni. E lo stesso vale per i clienti: non sono numeri da far sedere al tavolo, ma individui da accogliere e far sentire speciali.
Questa filosofia si riflette in tutto. È un approccio che crea un ambiente di lavoro più sereno e, di conseguenza, un servizio migliore per chi viene a mangiare da noi."
Come vedi il futuro di Cantine a Mare?
"Vedo crescita e grande potenziale. Sono anche molto soddisfatto della qualità della clientela che abbiamo: è una clientela informata, colta, che sa riconoscere la qualità sia nel piatto che nel servizio. Non sono persone che vengono solo perché è di moda o per farsi vedere, ma perché apprezzano davvero quello che facciamo.
Probabilmente siamo anche avvantaggiati dai bei locali che hanno preceduto Cantine a Mare in questa zona e che hanno educato il quartiere a certi standard. Ma noi stiamo costruendo la nostra identità, qualcosa di unico."
Hai già in mente delle direzioni da sviluppare?
"Assolutamente sì. Per me la cucina deve avere ancora più valore, deve continuare a crescere ed evolversi. E poi credo che si possa ampliare anche la cultura sulla carta spirits, su distillati e cocktail, per offrire un pacchetto più ampio e completo. Non voglio che siamo solo un buon ristorante, voglio che siamo un punto di riferimento a tutto tondo per chi cerca qualità.
Sono molto orgoglioso perché siamo arrivati dove siamo in pochissimo tempo: solo un anno di apertura. Questo dimostra che quando fai le cose con passione, competenza e attenzione alle persone, i risultati arrivano."
Un anno che sembra aver gettato basi molto solide...
"Sì, e questo è solo l'inizio. Abbiamo ancora tantissima strada da fare, tante idee da realizzare. Ma la cosa importante è che abbiamo le fondamenta giuste: un team che lavora bene insieme, una cucina di qualità, e soprattutto quella dimensione umana che per me è irrinunciabile. Quando unisci questi elementi, stai costruendo qualcosa che dura nel tempo.
A Cantine a Mare stiamo costruendo non solo un ristorante, ma un luogo di relazioni, di memorie, di esperienze che le persone porteranno con sé. E questa, per me, è la vera ristorazione."
Via Carlo Goldoni 58, Milano (MI)