La cucina romana come tradizione di famiglia: Davide Taurino si racconta

Pubblicato il 21 dicembre 2019

La cucina romana come tradizione di famiglia: Davide Taurino si racconta

Quando un tuo familiare ha un ristorante ben avviato, puoi scegliere tra due cose: lanciarti in un altro settore o portare avanti le tradizioni di famiglia. Federico e Davide Taurino hanno scelto di portare avanti il lavoro iniziato dal nonno e assieme al cugino Stefano Ciracì gestiscono la Bottega Trattoria De Santis, un locale “polivalente”. Da una parte c’è la trattoria, a fianco c’è la bottega con caffetteria e pasticceria dolce e salata. Due locali speculari che offrono una ristorazione di livello che guarda al futuro. Parola di Davide Taurino, chef della trattoria.


La Bottega Trattoria de Santis è uno dei locali storici di Roma. Come si diventa chef in un locale così rinomato?

Per me è stato facile. Qui ci siamo cresciuti, c’era nonno. Siamo sempre stati qua, da ragazzini correvamo attorno ai tavoli. Nonno è morto quando avevo 18 anni, dopo che è morto siamo subentrati noi. Eravamo piccoli, mio cugino Stefano che era il più grande ne aveva comunque 25. Ci siamo rimboccati le maniche e ora eccoci qua. In realtà io a 18 anni facevo Chimica all’Università, ma in breve tempo mi sono accorto che lo studio non faceva per me. Il mio mondo era la cucina. Così ho iniziato a studiare la ristorazione e i piatti approfondendo ogni argomento con passione e curiosità. Ho iniziato a fare corsi privati nelle migliori scuole di Roma e continuo ancora oggi. Mamma mi aveva detto di fare l’alberghiero, io mi sono fissato con lo scientifico per seguire gli amichetti. Ho toppato proprio.


C’è un aspetto di questo lavoro che ti fa brillare gli occhi ogni volta e che ti emoziona?

Io faccio un lavoro in cui ho immediatamente riscontro. Mi affaccio dall’oblò e dall’espressione di chi sta mangiando, capisco cosa sta provando. Non c’è nessun lavoro che ti dà questa possibilità. Se storce la bocca, se arriccia la fronte, se parla con un commensale. Il linguaggio del corpo esprime un giudizio a prescindere dalle parole. Tutto questo lo trovo fantastico.

Come è cresciuto il locale nel corso degli anni?

Da quando sono chef io, da più di 10 anni, il locale è cresciuto molto. Prima offrivamo in prevalenza carne e il nostro piatto forte era il pollo con i peperoni. Poi abbiamo introdotto un po’ di pesce e abbiamo adeguato la nostra ristorazione alla tecnologia attuale, che ha migliorato il nostro lavoro. Basse temperature e sottovuoto sono per noi termini familiari, che però richiedono una formazione continua. Stiamo crescendo e ci divertiamo.

Da una parte c’è la trattoria, dall’altro la bottega con caffetteria e pasticceria dolce e salata. Quanto è importante avere entrambe le attività?

Non è solo importante, è fondamentale. Anche a livello pubblicitario. La bottega è fondamentale per la trattoria e viceversa. C’è uno scambio continuo di vedute e di clienti. E inoltre ti consente di spaziare a 360 gradi dalla pasticceria alla cucina. I dolci che sono presenti in bottega spesso sono quelli che proponiamo alla trattoria e c’è un osmosi continua di tecniche. I macchinari sono spesso condivisi e in questo modo abbiamo la possibilità di sperimentare e di metterci alla prova.


Quali sono gli aspetti in cui può ancora crescere il vostro locale?

Ogni esperienza è un tassello alla mia formazione. Non sono abituato a chiedermi dove sto andando, la cosa più importante per me è imparare ogni giorno. Lavoriamo bene, abbiamo cura dei nostri clienti e vogliamo continuare così. Io mi occupo personalmente della formazione dei miei ragazzi. Girando per i locali ho sempre gli occhi aperti sulla gestione del locale e magari noto che quel particolare ristorante fa una cosa che funziona e che io non faccio. In quel caso assimilo e il giorno seguente formo la mia brigata. Non si finisce mai, è un continuo. Per me è molto importante la gestione dell’ansia. La mia frase che ripeto sempre è: tu ti devi preoccupare quando vedi preoccupato me, altrimenti vai avanti. L’ansia si gestisce solo con l’esperienza.

Se dovessi definire la tua cucina, che termini utilizzeresti?

La definirei una cucina romana innovativa. Noi siamo cresciuti con carbonare, amatriciane e pajata. Ovviamente vendo pure quello che mi piace. Ti faccio un esempio. Stiamo lavorando a una porchetta che in realtà non è una vera e propria porchetta da più di due anni. Ero alla ricerca infatti un pezzetto di maiale da vendere come secondo. Tutti fanno la pancetta ma è grassa, non posso dare 180 grammi di pancetta come secondo. Così abbiamo deciso di lavorare una parte di maiale con la cotenna e di cuocerla a bassa temperatura. Ricorda in tutto e per tutto una porchetta ma non lo è. Secondo me è un piatto straordinario e i clienti l’hanno apprezzato fin da subito. Di solito un piatto ci mette qualche mese per assestarsi, questo è andato subito a ruba. In cucina non riuscivo a stargli dietro. Anche tutto ciò che è interiora je damo giù forte. Trippa, pajata, coratella, animelle. In generale mi piace la cucina povera. A fare il lombo sono capaci tutti, lo metti sulla piastra e lo fai.


La bassa temperatura è la nuova frontiera della cucina?

Sono tre anni che pratico la cucina a bassa temperatura, sono andato anche a farei dei corsi a Milano. Roma è ancora un po’ indietro da questo punto di vista, è fedele alle ricette originarie e alle cotture tradizionali. E c’è anche tanta ignoranza. L’altra volta è venuto un fornitore che mi consigliava la cottura di un taglio reale di manzo (un taglio-semigrasso) a bassa temperatura, 63 gradi, per un’ora. Ci sono tabelle reali che vanno seguite, se cuocio a 63 gradi (di cui 50 al cuore) ottengo una carne lessa intorno di colore grigiastro e una parte rossa dentro. La devo cuocere in modo omogeneo per un tempo molto più lungo. Stiamo parlando di un taglio in cui è presente molto tessuto connettivo, è normale che vado a scegliere un taglio più magro dove posso “giocare” un po’ di più con salamoie, spezie o affumicature.

Quali sono i vantaggi della cucina a bassa temperatura?

Se cucino il polpo in bassa temperatura, cambio la qualità del prodotto e con la sua acqua ci posso fare la maionese. A Roma mettono ancora il polpo a bollire nella pentola e poi buttano l’acqua. Con le pelli del baccalà, ci faccio la salsa con i pachino direttamente in busta. I sapori che prende il pomodoro sottovuoto sono unici.


Come giudichi la qualità della ristorazione romana?

A Roma se magna bene. L’unica pecca è che forse si lavora poco con la tecnologia per migliorare il singolo prodotto. Si mangia bene in tanti posti ma si potrebbe migliorare la vendibilità del prodotto stesso adeguandosi alle nuove tecniche. Pur essendo la Capitale siamo ancora provinciali, facciamo ancora la gara a chi ha la carbonara più buona. A me non interessa. Al di là del fatto che è sempre una cosa molto soggettiva.

Come definiresti la tua clientela?

A mangiare alla trattoria ci vengono tutti, turisti e romani. I bed and breakfast ci aiutano nei periodi un po’ morti, da novembre a gennaio. Lo zoccolo duro però rimangono i romani. La mia clientela è consapevole del livello della mia cucina. Uno addirittura ha deciso di sfidarmi, in senso buono. Lui ha un’azienda che produce un determinato alimento e mi ha chiesto di creare, per la cena aziendale che farà qui da me, un menu completamente ispirato a questo prodotto. Devo creare un menu solo per loro e la cosa mi piace, la trovo affascinante. Per me sarà un onore cercare di valorizzare il loro prodotto.


La cucina italiana, al mondo, non ha eguali. Spesso però le leggi non agevolano e 3 ristoranti su 4 chiudono entro i primi 5 anni.

Il vero problema in Italia è che molti over 30 sono costretti ad andare all’estero. Nella fascia dai 30 a 40 non ti assume più nessuno, il costo è diventato insostenibile. Questo ha inevitabili ripercussioni sulla professionalità. Tanti giovani preparati si ritrovano a dover lasciare l’Italia perché nessuno li assume. E i ristoranti si ritrovano a lavorare con ragazzi sempre più giovani per godere di qualche bonus fiscale. Sono pochi i locali che portano avanti uno staff per molti anni, e nella maggior parte dei casi è una questione di costi.

C’è qualche progetto particolare a cui stai lavorando?

Sto lavorando a una serie di prodotti a portar via come creme di scampi o sughi di coda direttamente in barattolo. Per fare questo, bisogna appoggiarsi a un centro di analisi che analizza il processo di lavorazione. Addirittura con i forni attuali c’è la possibilità di salvarlo su una pen drive che ti certifica se puoi venderlo o meno. In circolazione ci sono solo semi-lavorati prodotti dalla grande distribuzione, non mi dispiacerebbe l’idea di produrre una linea di sughi di qualità.

Immagini interne prese dalla pagina Facebook della Bottega Trattoria De Santis

  • GLI ADDETTI AI LAVORI

scritto da:

Angelo Dino Surano

Giornalista, addetto stampa, web copywriter, social media manager e sognatore dal 1983. Una vita intera dedicata alla parola e alle sue innumerevoli sfaccettature.

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