Corte dei Pandolfi: cuore, memoria e avanguardia nel centro di Lecce

Pubblicato il 6 novembre 2025 alle 20:00

Abbiamo provato per voi i piatti di chef Mimmi

Nel cuore antico di Lecce, dove le pietre barocche sembrano ancora raccontare storie di corti e viandanti, Corte dei Pandolfi è tornato a illuminare piazzetta Fanfulla con una luce nuova. È un ritorno che profuma di famiglia, di passione e di visione contemporanea: un bistrot elegante e sincero, dove la tradizione salentina dialoga con l’alta cucina e il pensiero etico del futuro.
A guidarlo, due cugini uniti da un legame profondo e da un sogno comune: Amedea Francesca Nielli e lo chef Francesco Maria “Mimmi” Franco. Lei, imprenditrice e presidente dei Giovani di Confindustria Lecce, mamma e donna di gusto; lui, ex avvocato convertito ai fornelli dopo una lunga e formativa esperienza accanto a Heinz Beck alla Pergola di Roma. Insieme, hanno ridato vita a un luogo storico della città, con lo spirito di chi vuole restituire alla memoria collettiva un angolo d’anima, ma con lo sguardo proteso al domani.
“È un locale del cuore, per tantissime generazioni”, racconta Amedea con entusiasmo. “Abbiamo sentito il bisogno di riportarlo a nuova luce, mantenendo la sua storia ma dando spazio a freschezza, ricerca e qualità delle materie prime. Non volevamo il solito menù tradizionale: cercavamo equilibrio tra autenticità e innovazione, tra la memoria e la scoperta.”

Una storia di famiglia e di visioni condivise

Nella loro impresa si percepisce una continuità affettiva e imprenditoriale. “Ci siamo uniti in famiglia, com’è nella migliore tradizione italiana”, sorride Amedea. “Abbiamo messo insieme competenze diverse e la passione per il buon cibo e il buon vino. Per me è un’avventura nuova, ma nasce da un desiderio sincero: creare un luogo bello e vero, dove ogni piatto racconti un frammento della nostra storia.”
All’interno, il ristorante gioca su contrasti delicati: luce e ombra, pietra antica e linee moderne, intimità e apertura. Le sale si susseguono come stanze della memoria, e in quella più luminosa — pensata per momenti romantici — inizia il percorso di degustazione che è anche un viaggio nella filosofia di Mimmi Franco.

Il percorso del gusto

Il menù di Corte dei Pandolfi è un mosaico di esperienze e radici, dove ogni piatto è costruito con disciplina e poesia. Lo chef Mimmi, che ha appreso rigore e precisione nella brigata di Beck, trasferisce qui una sensibilità personale e una visione etica: niente è casuale, ogni ingrediente ha un ruolo, ogni abbinamento un pensiero.
Il primo piatto è un salmone con sedano rapa, pepe rosa, agrumi, finocchietto in polvere, guacamole, crema di yogurt, dragoncello, pistilli di pisello e olio all’arancia. Un’esplosione di freschezza e di eleganza cromatica, omaggio raffinato a una creazione che Heinz Beck ideò per gli Internazionali di Tennis. Il Muratori Franciacorta Numero Zero accompagna l’armonia sapida e agrumata del piatto, esaltandone la purezza.
Segue una sfoglia di seppia che gioca con il mare e il bosco, unendo la dolcezza del mollusco al profumo del porcino, sostenuta dalle foglie di mustard che aggiungono un tocco piccante e verde.
“È un omaggio a Pino Cuttaia,” spiega lo chef, “un piatto che può cambiare forma: a volte con tartare di gambero, altre con porcini e ricci. È un azzardo che regala in bocca un effetto sorprendente, quasi emozionale.”
L’abbinamento con il Conte della Vipera di Antinori, elegante e minerale, amplifica la sensazione di equilibrio tra mare e sottobosco.
Poi arriva una tagliatella all’uovo che celebra la memoria del quinto quarto, simbolo di una cucina contadina nobile e dimenticata. Mimmi la racconta come un tributo alla lentezza, alla dedizione di chi conosce la materia e la trasforma con rispetto. Le parti più povere diventano crema, avvolgono la pasta e la rendono regale. È un piatto che parla di radici e di futuro, come spesso accade nella cucina più autentica. Nel bicchiere, un Otto Noi Negroamaro La Scacchiera accompagna la densità del sugo con note di frutto scuro e terra bagnata.

Uno chef nato per...rinascere

Dietro ogni piatto, la storia personale dello chef scorre come una colonna sonora sommessa.
Francesco Maria Franco, per anni avvocato di Lecce, ha deciso di cambiare rotta seguendo un’urgenza viscerale: cucinare. A Roma ha trovato nella cucina di Heinz Beck la sua scuola d’eccellenza: la disciplina, la precisione, la capacità di pensare con le mani.
“Alla Pergola ho imparato che la cucina è un atto collettivo,” racconta, “una costruzione di squadra, un lavoro di cuore e di testa insieme. È lì che ho capito che cucinare è anche un modo per regalare felicità. Ci vuole tempo, e soprattutto bisogna farlo col sorriso: solo così il piatto restituisce ciò che metti dentro.”
La sua squadra, infatti, è un piccolo mondo cosmopolita: Singh, arrivato come lavapiatti e ora sous chef; José, Muhamed, Ram e l’unico italiano, Stefano.
“Ognuno di loro è parte di un equilibrio. La cucina, come la vita, funziona solo se c’è amalgama.”
Nel frattempo, la moglie di Mimmi, Ilaria, osserva con dolcezza le evoluzioni del marito ai fornelli, con la piccola Azzurra tra le braccia. È un’immagine che restituisce la verità più profonda di questo progetto: un ristorante che nasce da legami, non da mode.

Il trionfo delle consistenze

Il percorso prosegue con una tartare di fassona di Gino Amato, servita su un midollo fumante di ossobuco: il caldo e il freddo che si inseguono, il crudo e il cotto che dialogano. Una pioggia di funghi pioppini — in parte bruciati, in parte fritti — e una salsa all’uovo con note di senape e mostarda rendono il piatto un capolavoro di contrasti. È qui che la mano dello chef mostra maturità e carattere: nulla è sovrabbondante, tutto è calibrato, quasi matematico, ma vivo.

Etica e bellezza nel piatto

L’idea di cucina di Corte dei Pandolfi è contemporanea ma non cerebrale. Ogni piatto si fonda su due principi cardine: rispetto per la materia e centralità della persona.
“Il menù cambia come cambiano le stagioni,” dice Mimmi, “arrivano i tartufi di Acqualagna, i tagliolini alla Mimmi che ormai sono un must, e la mia carbonara, che racconta un modo di essere più che una ricetta.”
E mentre parla, lo sguardo dello chef si illumina nel vedere la sua brigata muoversi in armonia. È un linguaggio silenzioso, quello della cucina: fatto di gesti, sguardi, tempi condivisi.

Il senso di un ritorno

“Ridare luce a un posto che ha una storia è un atto d’amore,” ripete Amedea, guardando le luci che al tramonto si riflettono sulla pietra dorata di Lecce. “Siamo in uno scorcio bellissimo, e volevamo che la nostra cucina fosse all’altezza di questa bellezza.”
E in effetti, in Corte dei Pandolfi si respira qualcosa di raro: una sintonia tra spazio, tempo e persone. È un luogo che accoglie, che emoziona senza esibire, che racconta la Puglia non come una cartolina ma come un gesto autentico.
Tra un calice e l’altro, tra un profumo di agrume e una nota di mare, si comprende che qui la cucina non è solo mestiere — è identità, memoria e rinascita.

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