“Sono a Tuccio fin dal primo giorno, dal 2021. Avevo appena 18 anni e tanta voglia di imparare”, ci racconta Alessandro, 22 anni, giovanissimo ma già cuore pulsante della cucina di Tuccio, uno dei ristoranti più in voga nel centro di Bari, a pochi passi dal Castello Svevo. “Prima di arrivare qui ho avuto un'esperienza in Spagna che mi ha aperto gli occhi sul mondo della ristorazione. Poi è arrivata l’opportunità con Michele (il titolare del locale, ndr.), che ha creduto in me e mi ha dato tutti gli strumenti per crescere. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone più esperte, che mi hanno formato, supportato e trasmesso tanto. Per me, è stata una vera e propria scuola!”.

Cosa ti ha insegnato Tuccio in questi anni?

“Tantissimo. Prima di tutto, una visione a 360 gradi della cucina: ho potuto specializzarmi su aspetti concreti, come la produzione della pasta fresca e delle cartellate, ma anche sulla contaminazione tra tradizione e contemporaneità. Qui lavoriamo molto anche con tecniche moderne: preparo caviale, gel, schiume e condimenti utilizzando composti specifici, sempre con l’obiettivo di esaltare il piatto!”

Un piatto si esalta anche con estetica e tecnica. Quanto contano per te?

“Sono fondamentali. Oggi il piatto deve essere bello oltre che buono perché viviamo in un’epoca dove l’impatto visivo è importantissimo: il cliente fotografa, condivide, e quello diventa parte dell’esperienza. Quindi sì, estetica, equilibrio nei condimenti e consistenza in bocca sono aspetti chiave. Ma soprattutto, ci devi mettere amore. È quello che fa davvero la differenza. Senza amore, i piatti non riescono bene. E il cliente se ne accorge”.

Da dove nasce questa passione per la cucina?

“Tutto è iniziato con mia nonna. Cucina meravigliosamente e mi ha trasmesso la passione più grande. È stata lei a spingermi verso questa strada. Quando preparo un piatto, penso a lei. Anche se non ha potuto assaggiare tutto quello che creo, sento che sto cucinando anche per lei. In ogni piatto metto il desiderio di emozionare, proprio come faceva lei con me da bambino”.

Cosa significa per te essere così giovane in un locale di punta nel centro di Bari?

“Significa responsabilità, ma anche entusiasmo. Ho 22 anni e c’è sempre tanto con cui aggiornarsi in questo mondo, ma essere chef a questa età mi motiva a dare sempre il massimo. Ogni giorno è una sfida per crescere e migliorare. Se anche c’è spazio per l’improvvisazione, bisogna dire che servono soprattutto metodo, tecnica e cuore.”

Innovazione culinaria, turisti e locali… Come si conciliano queste tre cose in una sola cucina?

“Si tiene sempre a mente per chi si cucina. Bari è una città profondamente legata alla tradizione culinaria e spesso proporre metodi di cottura alternativi, come la cottura a bassa temperatura (CBT) o il vapore, richiede un certo equilibrio per non snaturare le aspettative dei clienti, soprattutto locali. Il turista invece viene con occhi diversi: ama l’Italia, ama Bari, e si aspetta di ritrovare nei piatti quella cultura gastronomica che ci rappresenta. Le richieste sono quasi sempre le stesse: orecchiette, braciole, polpo. E noi partiamo da lì, ma con una chiave diversa.”

In che modo reinterpretate questi piatti così radicati nella tradizione?

“Cerchiamo di alleggerire. L’orecchietta tradizionale, per esempio, è spesso molto carica e grassa, ma noi scegliamo una versione più pulita, fresca. Anche la frittura: da noi non è pastellata. Non è solo una questione tecnica, è una scelta gastronomica: portare la tradizione in una dimensione più contemporanea, più attenta, senza perderne l’anima.”

Com’è il rapporto con la clientela?

“La chiave è sempre il rispetto. I clienti tornano se li fai stare bene, e Tuccio ha un’atmosfera rilassata, accogliente. La gente viene anche per staccare, per godersi un momento, e questa energia positiva si riflette anche nel nostro lavoro in cucina. È un ambiente stimolante, ma anche leggero. E questo aiuta tutti.”

Qual è la filosofia che guida il menù di Tuccio?

“Tradizione rivisitata, sempre. Ci piace rielaborare piatti classici in chiave moderna, spesso giocando con la stagionalità. Prendiamo le cartellate, ad esempio: da dolce natalizio tipico con miele o vincotto, da noi diventano un piatto salato, servibile anche d’estate. Oppure la carbonara, che è diventata quasi un manifesto. L’abbiamo proposta in varie versioni: con zucca, tartufo e guanciale in inverno, poi con peperone, e oggi con datterino giallo.
La scorsa estate ne abbiamo preparata così tanta che in tre giorni consumavamo oltre 70 kg di datterini! Cerchiamo anche di proporre soluzioni più inclusive: per esempio versioni senza tartufo, o con salse neutre, separate e montate al momento. Vogliamo che tutti si sentano a casa, anche chi ha esigenze particolari.”

Come nasce un nuovo piatto nel vostro menù?

“Siamo una squadra giovane ma con esperienze molto diverse: c’è chi ha lavorato in Francia, Germania, Roma, chi ha girato tanto per il mondo. Ognuno porta la propria visione, e quando ideiamo un nuovo piatto lo facciamo insieme, con tanti confronti e prove. Non tutto finisce nel menù, ovviamente, ma tutto serve: ogni esperimento ci aiuta a crescere, a capire, a evolverci. È questo, credo, il segreto della cucina che vuole davvero innovare senza dimenticare da dove viene.”

Ci sono ingredienti pugliesi che ami particolarmente usare? perché?

“Amo molto lavorare con le farine, soprattutto per la produzione della pasta fresca. È un ingrediente che sento profondamente legato alla mia terra. Dopo due anni vissuti in Spagna, ho capito ancora di più quanto sia importante portare la nostra tradizione autentica all’estero. È un modo per raccontare chi siamo, partendo da ciò che abbiamo di più semplice e vero.”

Preferisci piatti semplici con pochi ingredienti o composizioni più elaborate?

“Dipende. Se c’è un lavoro tecnico dietro, una cura nei dettagli, ben venga il piatto elaborato. Ma allo stesso tempo credo che basti pochissimo per soddisfare davvero un cliente, se sai cosa stai facendo. Il barese, in particolare, è molto legato alla cucina semplice, casalinga, e noi dobbiamo rispettare questa esigenza. Però oggi la cucina è anche arte visiva: ci sono piatti che sono vere e proprie opere d’arte. E il cuoco, come un artista, usa il piatto come una tela.”

C’è una tecnica o uno stile che ti appassiona in particolare?

“Sì, mi appassiona moltissimo la cottura a bassa temperatura. Secondo me rappresenta una delle vere innovazioni della cucina moderna. Però bisogna essere formati: non è qualcosa che puoi improvvisare. In più, adoro sperimentare con tecniche molecolari come la gelificazione, le schiume, le sferificazioni, usando addensanti naturali come la xantana o l' agar agar. È un linguaggio nuovo, che arricchisce la cucina senza allontanarla troppo dalla tradizione. E poi, devo dirlo, mi piace anche uscire in sala, parlare con il pubblico. Vedere le reazioni, capire i gusti. È lì che capisci davvero se il tuo lavoro funziona.”

Qual è il piatto che ti rappresenta di più in carta?

“Il polpo deluso. È un piatto che portiamo avanti da tre anni, che abbiamo evoluto ma che sentiamo ancora fortemente nostro. Rappresenta il legame con il mare, con la Puglia, e anche la nostra capacità di rinnovare un ingrediente che qui conoscono tutti, ma in una forma ogni volta nuova.”

Come immagini il futuro della cucina da Tuccio? Hai qualche sogno nel cassetto?

“Mi auguro che Tuccio continui a portare avanti la tradizione, ma con uno sguardo sempre più aperto all’innovazione tecnica. Penso a strumenti e metodi che possano alleggerire il lavoro in cucina senza compromettere la qualità, come la cottura a bassa temperatura o l’uso del sottovuoto, che oggi vediamo spesso negli stellati. Ma, più in generale, spero in un cambio di mentalità: vorrei che si smettesse di vedere il cuoco solo come uno che fa “fatica” e si iniziasse a riconoscere il nostro lavoro come una forma d’arte, con tutto il rispetto e la dignità che merita.”

Qual è la cosa che più ti gratifica quando un cliente assaggia i tuoi piatti?

“Osservare le persone mentre mangiano. Lo faccio spesso. Quando vedo un sorriso spontaneo, un’espressione di sorpresa o soddisfazione… capisco che sto facendo bene. È quello il momento in cui tutto ha senso: la fatica, lo studio, l’attenzione ai dettagli. È lì che capisco di aver comunicato qualcosa, ed è la gratificazione più grande.”

Tuccio - Piazza Giuseppe Massari 15, Bari. T: 3427988613

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    Piazza Giuseppe Massari 15, Bari (BA)

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