Faccia a faccia con Lorenzo, guerriero gentile che tra passione per il proprio lavoro, senso di identità e Calcio Storico, ci racconta le caratteristiche e la filosofia che sono dietro al successo de I Fratellini

Pubblicato il 14 ottobre 2025

Faccia a faccia con Lorenzo, guerriero gentile che tra passione per il proprio lavoro, senso di identità e Calcio Storico, ci racconta le caratteristiche e la filosofia che sono dietro al successo de I Fratellini

Gestire un'attività non è mai facile e ancor di più quando ci si fa carico di un'eredità pesante come quella di una trattoria con più di sessant'anni alle spalle come I Fratellini
Ne abbiamo parlato con Lorenzo Dei, titolare della trattoria dal 2018, che ci ha raccontato la sua storia personale e quella del ristorante, in una chiacchierata mai banale durante la quale si parla di origini e di momenti di difficoltà e di quanto sia importante lottare per i propri obiettivi. Sia tra i tavoli di un ristorante, quanto nella sabbia intrisa di sudore del Calcio Storico. 
 

Lorenzo, tu dal 2018 hai rilevato l'attività. Cosa ti ha spinto a caricarti di un'eredità così importante come quella de I Fratellini, invece di aprire un nuovo ristorante?

Tutto ciò che è storico e che fa parte della cultura fiorentina è radicato nella mia famiglia. Mio nonno è nato in Borgo la Croce, mio padre è stato all'interno del Calcio Storico per tanti anni, come capitano e presidente degli azzurri; quindi, siamo molto legati a tutto ciò che riguarda la Toscana e Firenze. Per questo, nel momento in cui si è presentata l'opportunità di rilevare un pezzo storico di Firenze, come la Trattoria I Fratellini, l'abbiamo colta. La trattoria è stata aperta nel 1958, ma già nel 1400 era presente come stalla per il convento di San Iacopo e San Lorenzo. In seguito, è stata il fulcro ristorativo della zona quando le Carceri di via Ghibellina erano ancora attive e le famiglie dei detenuti venivano qui a prendere da mangiare. 
Si tratta quindi di un locale che ha una storia radicata nel tessuto fiorentino negli anni.   

Qui con la carne non si scherza. Qual è la caratteristica principale della vostra carne, in particolare della bistecca?

Per cuocere la carne noi utilizziamo solo legna e niente carbone, e la tipologia di legna ha caratteristiche diverse. Un legno di acacia, ad esempio, è sicuramente più dolciastro di uno di quercia o di faggio. Per questo usiamo tre o quattro varietà differenti di legname, per fare in modo che gli odori della legna si uniscano alla cottura della carne, che in questo modo presenta un sapore di affumicatura diverso dal solito.  
Per quanto riguarda la carne, vogliamo dare un colpo agli stereotipi che considerano la carne italiana la migliore del mondo. Ci sono tante razze e incroci ibridi a livello europeo molto valide. In generale possiamo dire che la carne buona deve essere sicuramente grassa, perché il grasso da' sapore e in fase di marezzatura conferisce una grande morbidezza.  
Le razze autoctone italiane come la Chianina e la Maremmana sono carni da lavoro non molto grasse e pur essendo ottime, non si adattano benissimo ad una cottura sulla griglia. Per questo una razza come l'irlandese, che ha brucato l'erba della sua terra ed è molto grassa, conferisce alla carne un sapore erbaceo e particolare. 
Noi, comunque, nel nostro ristorante abbiamo differenti tipologie di carne: dall'autoctona italiana alle croate, dalle irlandesi alle polacche di prima selezione. Dipende anche dai clienti, che hanno gusti sempre diversi che noi cerchiamo di accontentare. 

All'interno del locale è presente uno storico caminetto a legna, uno degli ultimi del centro storico. Qual è la sua storia e come rivive oggi?

Il nostro caminetto a legna rappresenta un plus che ormai nessuno può più avere, sia per un discorso di preservazione dei beni culturali all'interno del centro storico, sia per un discorso di sicurezza. È una cosa che non ha più nessuno e che ha reso il ristorante molto conosciuto. Qui, infatti, prepariamo tutti gli alimenti, dalla bistecca al girarrosto, che assumono in questo modo un sapore molto diverso dal solito. 

Qual è il target del vostro ristorante e a quale clientela fate riferimento?

Non faccio differenze tra i clienti, mi piace che il ristorante sia vissuto da tutti e che tutti abbiano l'opportunità di venirci a trovare per assaggiare le nostre specialità.
Il mio non è un discorso esclusivamente di business, perché io ho una sorta di missione: far capire e far conoscere al cliente quello che sta mangiando. 
Qui da noi vengono scelte solo materie prime di altissima qualità che, unite alla presenza del caminetto e alla nostra competenza, rendono la cena una vera e propria esperienza. Non è solo il semplice atto di mangiare, ma anche quello di essere in un contesto storico, in un ambiente composto con soli materiali toscani, dal legno al marmo, dalla ceramica al ferro battuto. Tutti elementi che richiamano la nostra terra. 

A tal proposito, che rapporto avete con un quartiere storico come Santa Croce? Inoltre, qui da voi c'è una targa che ci rimanda al periodo del Covid e alla vostra attività nel quartiere in quei giorni difficili. In cosa consiste?

Durante il periodo del Covid, quando i rapporti erano limitati per le leggi che venivano emanate, è stato bello mantenere un intreccio con la gente. Noi, avendo una vecchia licenza alimentare, potevamo andare a distribuire cibo all'interno del quartiere a chi non poteva uscire di casa, come le persone malate. Ad esempio, ho servito un signore che faceva la dialisi in casa ogni giorno. Noi e altri negozi del quartiere raccoglievamo gli alimenti e li portavamo a chi ne aveva bisogno. Grazie al Canto alla Mela, associazione di cui sono presidente, abbiamo distribuito più di 1200 pasti gratuiti a famiglie selezionate dai servizi sociali e per questo siamo stati premiati da Palazzo Vecchio.

Santa Croce, quindi Calcio Storico. Tu sei anche un calciante: come è nata questa passione e cosa hanno in comune due mondi apparentemente così diversi, come quello della ristorazione e del Calcio Storico?

La passione mi è stata tramandata da mio padre e dalla mia famiglia anche se, come sempre quando hai una grande eredità alle spalle, ho cercato di ritagliarmi il mio spazio. Io ho cominciato nel 2008 e fino al 2022 ho giocato 12 partite. Oggi il calcio storico ha subito un'evoluzione, diventando quasi uno sport, quindi ci vuole una preparazione fisica molto più elevata. Quando come me arrivi a quarant'anni, porti con te gli acciacchi e i segni delle varie battaglie e ci sarà sempre un ragazzo più giovane in grado di arrivare dove tu non arrivi più. Magari ci riesci con l'esperienza, ma comunque prevale chi ha una preparazione maggiore. 
Detto questo, per quanto riguarda le similitudini, io dico che tutto nasce da quello che hai nel cuore. Quello che ti spinge è la passione, la passione per Firenze. Noi siamo fiorentini e abbiamo uno spirito battagliero che ci contraddistingue. Non a caso, se non fossi stato così, non so come avrei affrontato il periodo del Covid, durante il quale infatti in tanti hanno mollato. Io ho affrontato a livello lavorativo una vera e propria battaglia e ho lottato veramente tanto. E il lottare di già in un altro campo (quello del Calcio Storico) mi ha aiutato molto. Per me quei cinquanta minuti in campo sono uno dei pochi momenti in cui mi sento veramente libero, senza dover pensare a tutte le beghe lavorative: sei solo te, la sabbia e l'avversario. E questo è quello che tante persone fanno nella propria vita. Quindi essere abituato a lottare in piazza, mi ha aiutato a tenere botta quando si sono presentate delle difficoltà.     

Tu hai lavorato per anni a Milano. Come è stato tornare a Firenze e cosa hai portato qui da quella esperienza?

Partendo dal presupposto che per me Firenze è la città più bella del mondo, penso però che, come per tutti i campi, per arrivare a capire per bene il proprio lavoro e la propria strada sia necessario guardarsi intorno. Uscire quindi dalla propria comfort zone, dalla propria nicchia, nel mio caso Firenze e girare un po'. Io sono stato prima a Londra e poi a Milano per sette anni. Milano mi ha conferito molti upgrade: ritmi lavorativi diversi, un modo differente di sviluppare i rapporti con i clienti, allontanandomi un po' dal nostro modo di essere qui in Toscana. Noi siamo molto diretti e un po' burberi e per questo a volte è difficile instaurare subito un rapporto cordiale. In generale ho imparato ad avere un'empatia maggiore e a valutare chi ho davanti. 
Quando sono tornato qui, ho applicato questa visione nel rapporto con i clienti in maniera più internazionale. Poi arrivo sempre a fare le battute in fiorentino, ma andando per gradi. 

Parlando in generale, qual è, secondo te, lo stato di salute del mondo della ristorazione a Firenze?

Se devo dirti di essere contento dell'offerta che c'è in giro per Firenze, ti dico di no. Io credo che un ristorante fiorentino debba essere gestito da chi è nato con il sapore della terra e dei piatti fiorentini e toscani. Perché così puoi portare in tavola quei valori e quella storia che fanno parte di te, altrimenti diventa difficile. 
Ognuno è libero di fare quello che vuole, ma credo che la maggior parte dei ristoranti faccia solo un discorso di business, pensando esclusivamente ai turisti. Così però si crea un vortice che danneggia l'immagine generale del centro di Firenze, allontanando le persone. 
Quello che invece capisco da tanti clienti che vengono qui, è che non si sentono presi in giro: io, ad esempio, spiego sempre la differenza tra costata e Fiorentina e il valore diverso che hanno. 
Mi piacerebbe quindi dare sempre la vera fiorentinità e il vero cibo toscano, senza stare a pensare a un discorso esclusivamente economico.    

Per concludere, quali sono i tuoi progetti per il futuro?

In questo periodo stiamo attraversando un momento molto positivo, non mi nascondo e come per molti altri ristoranti, c'è tanto lavoro. Per il futuro mi piacerebbe trovare un po' di serenità che negli ultimi anni è mancata e trasferirla ai miei collaboratori. E in questa stabilità e serenità andare alla ricerca di una maggior cura del dettaglio e fare sempre meglio, senza tralasciare niente. Se in un posto lavori sereno il cliente lo percepisce e c'è tutta un'altra aria nel ristorante.
Quindi per il futuro voglio consolidare quanto già facciamo e trovare una serenità che possa essere respirata anche dai clienti. 

  • GLI ADDETTI AI LAVORI

scritto da:

Enrico Aprile

Napoletano trapiantato da venti anni a Firenze, sempre a spasso per le strade della città, attraversate in lungo e largo. Come tanti studenti durante gli anni dell'Università, ho lavorato in numerosi ristoranti e bar, imparando a conoscere un po' dei segreti del mondo della ristorazione. Unire queste esperienze al desiderio di raccontare storie è l'obiettivo della mia avventura in 2Night

IN QUESTO ARTICOLO
  • Trattoria I Fratellini

    Via Ghibellina 27, Firenze (FI)

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