La rivoluzione “segreta" del Ristorante Salgari

Pubblicato il 1 novembre 2025 alle 12:00

La rivoluzione “segreta" del Ristorante Salgari

Intervista a Paolino Cafariello e allo Chef Francesco Limone – Hotel Saccardi, Caselle di Verona

C'è un luogo, alle porte di Verona, che racconta quanto la dedizione e la visione possono trasformare una “ristorazione d'albergo” in un'esperienza autentica e raffinata.
Il Ristorante Salgari , all'interno dell'Hotel Saccardi di Caselle , è una di quelle realtà che nascono in sordina, accanto all'autostrada, ma che sanno rivelare, piatto dopo piatto, la forza della passione, del sacrificio e dell'amore per la materia prima.

Dietro a questo progetto, voluto in primis da Marco e Giulia Saccardi , si muovono oggi due anime complementari: Paolino Cafariello , responsabile di sala, e Francesco Limone , chef. Insieme al loro staff, hanno trasformato un locale nato per accogliere gli ospiti di passaggio in un ristorante capace di coniugare eleganza, territorio e autentica accoglienza.

Li abbiamo incontrati per scoprire la loro filosofia e le sfumature di un mestiere che è arte, psicologia e sacrificio quotidiano.

Quando è nato il ristorante Salgari e qual era la sua idea originaria?



Paolino:
Il ristorante nasce nel 1990, insieme all'hotel. Era un luogo di passaggio: lavoratori, turisti, gruppi che soggiornavano una notte e ripartivano. Tutto è cambiato nel 2016, quando Giulia e Marco Saccardi hanno preso in mano la gestione e hanno deciso di dare una nuova identità anche alla ristorazione. Io sono entrato proprio in quel periodo, e nel 2020 è arrivato Francesco, che ha dato un'impronta più decisa alla cucina. Da allora abbiamo intrapreso un percorso per alzare il livello, senza perdere l'anima accogliente del posto.

Francesco:
Il nome “Salgari” richiama l'autore veronese Emilio Salgari, simbolo di avventura e immaginazione. E in effetti anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo fatto una piccola grande avventura: trasformare un ristorante d'albergo per viaggiatori frettolosi in un luogo dove si viene apposta per mangiare bene.

Qual è oggi la filosofia della vostra cucina?



Francesco:
La nostra cucina è territoriale e contemporanea. Usiamo ingredienti locali, seguendo le stagioni, ma ci piace anche giocare con contaminazioni italiane. È una cucina che parte dal rispetto della materia prima e arriva all'equilibrio dei sapori.
Nel menu trovano spazio piatti come il risotto all'Amarone, le guancette brasate al Valpolicella, ma anche il baccalà fritto sui friarielli, la parmigiana di melanzane, il polpo alla Luciana e altre pietanze. Insomma, un menù non sovraccarico, ma che garantisce varietà.
E poi ci sono i fuori menu, che non sono mai piatti “di recupero”: li creiamo in base a quello che offre il mercato. Tartufo, porcini, fiorentina, capesante… ogni giorno può nascere qualcosa di nuovo.

Paolino:
La nostra filosofia è proporre una cucina che sia riconoscibile e sincera, capace di raccontare il territorio ma con uno sguardo aperto. Il cliente deve sentirsi a casa, ma anche un po' stupito.

Com'è cambiato il vostro pubblico nel tempo?



Paolino:
All'inizio ci fermavano persone di passaggio. Ora è diverso: molti clienti vengono apposta, anche da Milano, solo per cenare da noi.
Abbiamo mantenuto l'accoglienza di un ristorante d'albergo, ma con un servizio e una qualità del ristorante di destinazione. Quando un cliente torna, dopo mesi, e si ricorda di noi, significa che abbiamo lasciato qualcosa. È la soddisfazione più grande.

Come si lavora dietro le quinte? Com'è il vostro rapporto sala-cucina?



Francesco:
Fondamentale. Io studio i piatti, ma è Paolino che li racconta, li fa vivere al cliente. La comunicazione è continua.
Se un piatto non funziona, lo togliamo. Se il cliente apprezza, diventa un punto fermo. Il nostro menu è sempre in movimento.

Paolino:
Noi siamo come due strumenti che devono suonare in armonia. In sala bisogna essere presenti ma mai invadenti, capire le persone, adattarsi. È anche psicologia del servizio: c'è chi vuole parlare e chi preferisce il silenzio. Un buon servizio è accoglienza, ordine, attenzione ai dettagli. Anche una tovaglia perfetta, una luce giusta, un sorriso sincero: sono questi i particolari che costruiscono l'esperienza. A noi piace sempre offrire qualche piattino, un dolcetto, come la nostra Sbrisolona o un bicchierino di Recioto della Valpolicella o un po' di pane con olio. Piccole coccole che rendono l'esperienza più piacevole e, perché no, aiutano anche a far nascere nuovi prodotti. Inoltre, abbiamo Claudio, sommelier che con la sua simpatia e professionalità, guida la clientela tra le nostre più di 250 etichette di vino italiano e non solo. 

Com'è una tua giornata tipo?

Paolino:
Si comincia presto, con la colazione: è il primo contatto con il cliente e per noi è importante che sia curata, varia, autentica. Poi arrivano le riunioni di servizio, si controllano gli ordini, le prenotazioni delle sale meeting e dei banchetti. Ogni giorno è un piccolo mondo da organizzare.

Francesco:
Io arrivo alle sei e mezza. I fornitori consegnano pesce, carne, verdure. Controlliamo tutto: se qualcosa non rispetta gli standard, si rimanda indietro.
Poi si parte con le preparazioni. Ci sono piatti, come la guancia o il maialino iberico, che richiedono ore di cottura. È un lavoro lungo, faticoso, ma quando vedi il piatto uscire perfetto e il cliente soddisfatto, capisci che ne vale la pena.

Come gestite il tema della sostenibilità e degli sprechi?



Francesco:
Cerchiamo di non sprecare nulla. Le verdure diventano torte salate, i tagli secondari della carne si trasformano in ragù o hamburger.
La sostenibilità per noi non è una moda, ma una forma di rispetto verso la materia prima e i produttori, ma anche per chi mangia. 

Cosa significa, Paolino, per te un “buon servizio”?



Paolino:
Significa coccolare il cliente, ma con discrezione. L'accoglienza comincia già dall'ingresso, dal sorriso con cui lo accompagna al tavolo. E poi c'è l'ascolto: capire i tempi, i desideri, interpretare.
A volte basta una parola o una battuta per far sentire qualcuno a proprio agio. Un buon servizio è fatto di empatia, non di automatismi.

Come rispondere ai pregiudizi sui ristoranti dell'hotel?



Francesco:
Con i fatti. Siamo la dimostrazione che anche accanto a un'autostrada si può creare un ristorante elegante, dove ogni piatto è fatto con cura.
Molti clienti, italiani e stranieri, restano sorpresi e tornano. Il nostro obiettivo è sdoganare l'idea che un ristorante d'albergo debba essere “di quantità”: qui si punta tutto sulla qualità.

Paolino:
È un percorso lungo, ma stiamo vincendo con la coerenza. E oggi il nome Salgari comincia a essere riconosciuto anche fuori dalle mura dell'hotel.


Che ruolo hanno i produttori locali nella vostra cucina?



Francesco:
Collaboriamo con piccoli produttori: formaggi, salumi, olio, carne. Lavoriamo molto con le eccellenze Slow Food di Verona e Parona, come il broccoletto di Custoza o la pesca locale.
Organizziamo anche serate a tema e collaborazioni con cantine come Santa Sofia o aziende come Domori, per abbinamenti e degustazioni.
Ci piace creare rete, perché la cucina vive di territorio e di relazioni.

Come vedete la ristorazione italiana oggi? Sta cambiando qualcosa?



Francesco:
Sì, qualcosa si muove. La tradizione rimane fondamentale, ma c'è più apertura verso contaminazioni e innovazione.
L'importante è non snaturare l'identità, non scendere a compromessi con la qualità.
In Italia abbiamo tutto: il mare, la terra, le materie prime migliori. Ma la differenza la fa la mano, l'artigianalità, la devozione.
Troppo spesso vediamo piatti precotti o prodotti industriali persino in strutture importanti. Noi vogliamo andare controcorrente, riportare la cucina d'albergo alla sua dignità originaria.

Se doveste riassumere il Ristorante Salgari in tre parole…

Qualità, passione e amore.
Claudio, il sommelier di sala, passando ha aggiunto: devozione.
Perché la cucina, alla fine, è questo: una forma di devozione quotidiana.

  • GLI ADDETTI AI LAVORI

scritto da:

Giorgia Bonafini

Laureata in Enologia a Verona, ho messo il naso (e il palato) in vigneti da Verona a Pantelleria. Poi, in Piemonte, ho scoperto che parlare di vino è quasi emozionante quanto berlo (quasi). Quando non sono tra bottiglie e grappoli, mi trovate a recitare, dipingere, cantare o suonare la batteria. E se queste passioni si accompagnano a un buon passito o un piatto, Stairway to Heaven in sottofondo, e un buon fuocherello, non so più dove finisco io e dove inizia la fantasia.

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