Veranda: un viaggio culinario tra Russia, Ucraina e Georgia proprio a Milano
Pubblicato il 29 ottobre 2025 alle 10:00
Varcare la soglia di Veranda significa attraversare un confine invisibile e ritrovarsi catapultati nelle cucine familiari dell'Est Europa. Qui, da 13 anni questo ristorante custodisce i sapori autentici di Russia, Ucraina e Georgia, offrendo un'esperienza gastronomica che trascende il semplice pasto per diventare un percorso culturale.
A guidare Veranda da tre anni e mezzo è Hanna Yefimova, di origini miste russe e ucraine, che ha rilevato il locale ereditando dalla gestione precedente un patrimonio culinario prezioso. Una scelta consapevole e coraggiosa, quella di non modificare alcuna delle ricette tradizionali, mantenendo intatta l'identità del ristorante. "In Russia e Ucraina la tradizione gastronomica è condivisa", spiega Hanna con un orgoglio che tradisce la profonda connessione con le proprie radici. "Da Veranda si trovano i piatti tipici che si preparano nei ristoranti, nelle case e dalle nonne. È cucina casalinga autentica, fatta di piatti iconici che voglio tramandare per offrire una vera esperienza di questi paesi, senza compromessi".
L'esperienza da Veranda inizia con un rituale semplice ma significativo: un bicchiere di kompot, il tradizionale decotto fatto in casa a base di bacche e frutta. Rinfrescante e delicatamente aromatico, questo preparato rappresenta un punto fermo della cultura gastronomica dell'Est Europa. Un sorso che prepara il palato, ma anche l'animo, a quello che verrà: un viaggio attraverso sapori intensi, preparazioni elaborate e storie antiche.

Il primo piatto che assaggio è quello che in Italia conosciamo come "insalata russa", ma che qui porta il suo nome originale e aristocratico: insalata Olivier, in onore dello chef Lucien Olivier che la creò nell'Ottocento a Mosca. La storia di questo piatto è avvolta nel mistero e nella leggenda, in modo non dissimile da quella della pizza napoletana. Si racconta che lo chef dovesse stupire lo zar con una creazione originale e che, utilizzando gli ingredienti a disposizione, abbia messo insieme una combinazione destinata a diventare immortale. La ricetta originale è andata perduta, custodita gelosamente dal suo creatore e mai tramandata integralmente.
Quella che Veranda propone risale ai primi del Novecento: una versione generosamente pepata, profumata dall'aneto fresco e dal cipollotto, con carote finemente tagliate, uova sode, piselli e mortadella che si amalgamano in una cremosità sorprendente. Ogni boccone è un equilibrio tra consistenze e sapori, dove l'acidità si bilancia con la dolcezza e il grasso della mortadella trova contrappunto nella freschezza delle verdure.
Seguono i blinis, spesso erroneamente paragonati alle crepes francesi ma in realtà dotati di una personalità distintiva. L'impasto non è né salato né dolce: una scelta deliberata che crea una base neutra, capace di esaltare farciture sia salate che dolci senza mai sovrastarle. Li assaggio nella loro interpretazione più lussuosa e celebrativa: ricoperti di caviale rosso, le lucenti uova di salmone che brillano come piccole gemme arancioni.

"È un piatto di lusso", conferma Hanna, "che tradizionalmente si prepara per fare bella figura nelle occasioni speciali". La combinazione è magistrale: la delicatezza soffice dell'impasto incontra la sapidità decisa e la texture scoppiettante delle uova di pesce, creando un contrasto sensoriale che giustifica appieno il suo status di piatto celebrativo. Ogni morso è un'esplosione di mare temperata dalla morbidezza del blinis, un equilibrio perfetto tra semplicità e raffinatezza.

L'apice dell'esperienza culinaria da Veranda sono indubbiamente i khinkali, i caratteristici ravioli georgiani dalla forma plissettata che ricorda una piccola borsa. Arrivano fumanti al tavolo, accompagnati da istruzioni precise che Hanna tiene a fornire personalmente.

Non si tratta di un vezzo o di folklore: esiste un metodo corretto per consumarli, una tecnica essenziale per non disperdere il prezioso brodo succulento racchiuso all'interno dell'involucro di pasta. Si afferrano dalla sommità plissettata, si pratica un piccolo morso per creare un'apertura, si aspira delicatamente il brodo caldo e aromatico, e solo successivamente si consuma la pasta ripiena di carne speziata.

Non può mancare, in un menu che celebra l'autenticità, il borsch: la tipica zuppa ucraina che dal 2022 è stata riconosciuta dall'UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell'Umanità. Questo riconoscimento non è casuale: il borsch è simbolo di identità nazionale, un filo rosso che attraversa generazioni e famiglie. Il suo colore rubino intenso, ottenuto dalle barbabietole che ne sono l'ingrediente principale, annuncia già al primo sguardo la ricchezza di questa preparazione. Nella ciotola si combinano barbabietole, cavolo, patate, carne e un bouquet di spezie e aromi che variano secondo la tradizione familiare. La consistenza è densa, quasi carnosa, il sapore agrodolce con note terrose e una punta di acidità che bilancia la ricchezza degli ingredienti. Servito bollente, spesso accompagnato da panna acida e aneto fresco, il borsch è un abbraccio che riscalda corpo e anima, un piatto che racconta storie di inverni rigidi, di cucine che profumano per ore, di ricette tramandate sottovoce da nonna a nipote.

Sul tavolo, come elemento imprescindibile di questa esperienza culinaria, non può mancare la vodka. Ma attenzione: quella che si beve da Veranda ha poco a che fare con le versioni europee comunemente diffuse. "La vodka europea è spesso prodotta con patate", spiega Hanna, "mentre la nostra è distillata dal grano. Questo la rende notevolmente più morbida al palato e crea un'armonia perfetta con i nostri piatti". Non si tratta solo di una questione di gusto o di tradizione, ma di una vera e proprio logica gastronomica. Le preparazioni della cucina dell'Est Europa sono caratterizzate da tempi di cottura prolungati, da stratificazioni di sapori, da una ricchezza e grassezza che richiedono un contrappunto. La vodka di grano svolge una duplice funzione: da un lato aiuta la digestione di piatti sostanziosi e complessi, dall'altro riscalda il corpo, una necessità nata nei climi rigidi da cui questa cucina proviene. Non va sorseggiata da sola, ma consumata durante il pasto, come parte integrante dell'esperienza gastronomica complessiva.
Da Veranda si respira l'autenticità di una cucina che rifiuta i compromessi, che mantiene vive tecniche e ricette tramandate nel tempo. Ogni piatto racconta una storia, ogni sapore è un tassello di un mosaico culturale che abbraccia Russia, Ucraina, Georgia e anche la Bielorussia.
Uscendo da Veranda, con il calore del borsch ancora nelle ossa e il sapore del kompot sulle labbra, ho la sensazione di aver vissuto un piccolo viaggio. Un viaggio che, a differenza di molti altri, non richiede visti o passaporti: basta la curiosità e la voglia di lasciarsi trasportare dai sapori autentici dell'Est Europa.
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