Le gite fuori porta consigliate ai bolognesi che restano in città

Pubblicato il 25 luglio 2025

Le gite fuori porta consigliate ai bolognesi che restano in città

Ti svegli con un castello moresco piantato nel cervello. Hai sognato una strada scavata nel gesso, una torre diroccata, una cantina piena di bicchieri sudati e mani sporche di tigella. Non sei a Siviglia, né nella testa di un pittore pazzo: sei a un’ora da Bologna.
Perché fuori da questa città — fuori davvero — succedono cose che sembrano impossibili: borghi scolpiti nella roccia, laghi tra i pini, vigneti che ondeggiano come tende al vento, santuari che sembrano raggiungibili solo scalando una nuvola.
E tutto questo, tutto, è dietro una curva, dopo una stazione dimenticata, dentro una domenica senza piani.
Altro che “fuori porta”. Qui si parla di scosse telluriche dell’anima, di gite che ti frullano la testa e ti rimettono al mondo. Otto viaggi brevi, ma con effetto duraturo: ti riportano indietro stanco, ubriaco di sole, pieno di storie e con la voglia strana di cambiare vita.
Pronto a perderti?
Allora salta su. Il portale è aperto.

Marmi, arcani e vertigini appenniniche


Imbocchi una curva e succede. Ti sembra di avere le visioni. Nel verde ruvido dell’Appennino, spunta una sagoma che non ha senso: cupole moresche, torrette neogotiche, scalinate orientali e guglie da film d’avventura. Non è un sogno, è la Rocchetta Mattei. Ed è reale come la stretta allo stomaco che ti prende appena scendi dall’auto.
Qui non sei più in Emilia, né in Italia. Sei dentro la mente di un uomo fuori dal tempo: Cesare Mattei, politico, alchimista, mecenate, fondatore dell’elettromeopatia (sì, hai letto bene), e autore di questa follia architettonica che non assomiglia a nulla. O forse sì: sembra un castello andaluso abitato da un mago, o la dimora di un sultano impazzito per il Liberty.
Le stanze si inseguono tra labirinti di marmo e luce, con mosaici che si riflettono negli occhi come sogni. Le scale non portano mai dove ti aspetti. I soffitti si allargano, poi si abbassano. Le sale ti scrutano. In un attimo ti trovi nella Sala dei Novanta, poi nella cappella araba, poi in un cortile che pare la replica di un patio dell’Alhambra.
E intanto pensi: ma come cazzo è possibile che una cosa così sia a un’ora da Bologna?
La Rocchetta è uno di quei posti che ti cambiano l’umore. Esci con l’impressione di aver toccato qualcosa che non doveva esistere, e invece è lì, incastonato tra le colline di Grizzana Morandi come un frammento di sogno rimasto incollato alla realtà.

Rocchetta Mattei 
Via Rocchetta 46/A, Grizzana Morandi (BO)
Tel. 3661433941 (lunedì-venerdì 9-13)

Tre punte nel cielo


Dopo chilometri di campagna piatta, la strada s’inerpica e si stringe, e quando pensi che stia finendo nel nulla… Brisighella ti sorprende all'improvviso. Tre denti di pietra che si alzano nel cielo come dita scolpite nella roccia: la Torre dell’Orologio, la Rocca Manfrediana e il Santuario. Tutto il resto — case, vicoli, archi — è incastrato sotto, come un presepe medievale disegnato a mano.
È una visione verticale, Brisighella. E la senti anche nel respiro, mentre sali tra scalini ruvidi, passando sotto archi storti, balconi fioriti, pietre calde di sole. Poi sbuchi sulla Via degli Asini, un portico chiuso, tutto curve e finestrelle, un tempo usato dai birocciai per dormire sopra le stalle. 
Tutto questo viene da lontano. La rocca fu costruita nel 1310 da Francesco Manfredi, signore di Faenza, su uno sperone di gesso che sembrava fatto apposta per la guerra. Poi vennero i Veneziani, poi i Papalini, poi il silenzio. Ma le pietre hanno memoria. E Brisighella la custodisce con una fierezza gentile.
Oggi ti ci perdi tra le botteghe che vendono olio DOP, vino, formaggi stagionati e piadine eterne. Se vuoi, sali fin sopra le rocche, o resti in piazza col bicchiere in mano, a guardare il sole sparire dietro mille anni di storia.

Brisighella
Centro storico, Brisighella (RA)

Il passato e il presente

Monte Sole ti cambia il passo, dentro e fuori. Prima cammini. Poi pensi. Poi senti. I sentieri che si arrampicano tra i boschi sembrano uguali a tanti altri sull’Appennino, ma qui ogni pietra ha un nome, ogni rovina ha una storia. E ogni silenzio pesa più del vento.
Siamo nel Parco Storico di Monte Sole, tra Marzabotto, Grizzana Morandi e Monzuno. Uno dei luoghi più feriti d’Italia. Tra il settembre e l’ottobre del 1944, le SS trucidarono qui oltre 770 civili, in uno degli eccidi più atroci della Seconda guerra mondiale. Donne, bambini, anziani: arsi vivi, fucilati, sepolti sotto le case. Non c’era colpa, solo un disegno criminale.
Oggi tutto parla, ma con una voce quieta. Le rovine di Casaglia, la chiesa sventrata, il cimitero col prato curato e le targhe incise. Ogni tanto una croce, un fiore lasciato da qualcuno che ancora torna. Ma non è un museo. È un paesaggio vivo, attraversato da caprioli, escursionisti, ragazzi in gita. La vita è tornata, ma non ha cancellato nulla.
Puoi fare trekking, seguire gli itinerari storici, ascoltare le guide. Oppure restare fermo, seduto sotto una quercia a guardare le valli aperte e il cielo che muta. 
Come la vuoi la metti ma da un weekend a Monte Sole non si torna uguali. Si torna più lucidi. Più vivi.
E con un nodo che resta lì, al centro dello stomaco.

Parco Storico di Monte Sole
Via Porrettana Sud 1, Marzabotto (BO)
Tel. 051932525 (ufficio Parco Storico)

Ubriachi sulle colline


C’è un momento, salendo verso Monte San Pietro o Zola, in cui alle tue spalle Bologna svanisce nel caldo, come se ti stessi infilando in una cartolina. Colline morbide, file di vigne precise come trame di tessuto, una luce liquida che sembra già vino.
Benvenuto sui Colli Bolognesi, regno del Pignoletto, ma non solo. Qui il tempo è un concetto elastico: si allunga davanti a un tagliere, si accorcia dentro un calice. Ogni curva porta a una cantina, ogni sosta è un invito. Non serve prenotare un viaggio, basta mezza giornata: sali in macchina, molli la città e ti lasci inebriare.
C’è chi fa tour in e-bike tra i filari, chi si siede su un tavolo di legno sotto il pergolato, chi gira con la mappa delle DOC in tasca come fosse una caccia al tesoro. Puoi assaggiare Barbera, Merlot, Chardonnay, Sauvignon, persino qualche bollicina inaspettata. Ma il vero sapore lo trovi nelle storie raccontate da chi fa vino con le mani e con la voce.
Ogni cantina è una casa, ogni brindisi un modo per dimenticare che il lunedì esiste. E quando cala il sole, con lo sguardo puntato verso giù — verso la pianura, verso l’afa lasciata indietro — ti senti stranamente intero.

Colli Bolognesi / Cantina Montevecchio Isolani
Via San Martino 5, Monte San Pietro (BO)
Tel. 3290212254

Murales e merli


A Dozza ci arrivi con l’idea di vedere un borgo, e invece finisci dentro un’opera collettiva che respira. Muri che parlano, porte che sembrano uscite da un sogno pop, finestre che si aprono su paesaggi immaginari: qui l’arte non è nei musei, ma nelle vie. Ogni parete è una tela. Ogni angolo, un colpo d’occhio.
Succede perché dal 1960, ogni due anni, artisti italiani e internazionali vengono invitati a dipingere direttamente sulle case. Niente mostre, niente cornici. Solo pareti, calce e visioni. E così Dozza è diventata una delle gallerie d’arte contemporanea più sorprendenti d’Italia, mimetizzata da paese medievale.
E non finisce qui. C’è anche la Rocca Sforzesca, che domina tutto dall’alto con un’aria di chi ne ha viste tante. Mura poderose, torri da cui sbirciare l’Emilia, e dentro — tra prigioni e cucine storiche — anche l’Enoteca Regionale, il posto giusto dove farsi un bicchiere dopo essersi riempiti gli occhi.
Dozza è minuscola, ma trabocca. Di colore, di equilibrio, di quella bellezza che non si prende sul serio. Ci vai per curiosità e te ne vai con un po’ di meraviglia addosso.
E mentre torni, ti chiedi se davvero un murales possa cambiare un posto.
Spoiler: sì. E anche chi lo guarda.

Rocca Sforzesca di Dozza
Piazzale della Rocca 6/A, Dozza (BO)
Tel. 0542678240

I laghi segreti

Le curve si stringono, il bosco si infittisce, e all’improvviso si apre uno specchio d’acqua. Immobile, profondo, piantato in mezzo all’Appennino come un respiro trattenuto. Sei arrivato al Lago di Suviana. E se prosegui ancora un po’, trovi anche il fratello minore: il Brasimone. Due laghi artificiali, sì — ma con un’anima vera, di quelle che ti fanno restare in costume tutto il giorno e non controllare l’ora nemmeno una volta.
Suviana è il più grande: ci puoi andare per stenderti al sole tra gli alberi, per tuffarti, per pagaiare in canoa. C’è un’area picnic, qualche chiosco estivo, zero pretese. Solo silenzio, pini, e quell’aria da estate vintage che ti scrosta via tutta la città.
Il Brasimone è più raccolto, meno affollato. Un posto da camminatori, da chi cerca acqua e ombra, da chi si porta il libro e lo dimentica sulla panchina. Intorno, i sentieri del Parco del Corno alle Scale disegnano percorsi lenti e panoramici.
È un posto dove rallentare, mangiare pane e pomodori, nuotare senza rumore, guardare i rami muoversi sulla superficie. Un posto per chi ha bisogno di disintossicarsi dal resto.
Ci torni con i capelli bagnati, le mani che sanno di resina, e una voce dentro che dice:
oh, ce n’era bisogno.

Laghi di Suviana e Brasimone
Piazza Kennedy 10, Camugnano (BO)

Gessi e calanchi


Non sembra nemmeno Italia. Cammini e ti ritrovi in mezzo a crateri bianchi, canyon di creta, pinnacoli scavati dal vento. Il terreno scricchiola sotto le suole, come se stessi pestando un osso antico. Siamo nel Parco dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell’Abbadessa, una delle aree carsiche più sorprendenti d’Europa, eppure a due passi — letteralmente — da Bologna.
Qui i gessi si sgretolano, si aprono in voragini e grotte (ce ne sono oltre 200, alcune lunghissime), i calanchi si fratturano come deserti in miniatura. I percorsi attraversano boschi, crinali nudi, antichi eremi, radure che sembrano fondali lunari. È il trekking più surreale che puoi fare senza uscire dalla provincia.
E poi c’è la storia. Perché dentro queste grotte l’uomo c’è passato eccome: rifugi preistorici, passaggi segreti medievali, tunnel usati dai partigiani. C’è chi giura di aver visto incisioni, altari nascosti, luci strane nelle cavità.
Non serve essere alpinisti. I sentieri partono anche da San Lazzaro, Farneto o Gaibola. Qualcuno ti porta in alto con vista sui colli, altri ti infilano nel cuore umido della terra, dove il tempo cambia ritmo e l’aria sa di buio.
Qui non ci sono souvenir, ma quando torni hai le scarpe impolverate, il cuore pieno, e la sensazione di aver attraversato un luogo primordiale.

Parco Regionale dei Gessi Bolognesi e Calanchi dell'Abbadessa
Via Jussi 171, San Lazzaro di Savena (BO)
Tel. 0516254811

La salita sacra

Lo vedi da quasi ogni angolo di Bologna, come un faro fermo nel tempo. Eppure finché non ci sali, non capisci davvero. Il Santuario di San Luca non è una gita. È una prova, un rituale, una piccola ascesa mistica sotto i piedi e dentro la testa.
Si parte da Porta Saragozza. Davanti, 3,796 metri di portico, 666 archi, una salita che sembra infinita e poi, d’un tratto, finisce. Ma non è la fatica che conta. È quello che succede mentre sali: la città che si allontana, il respiro che cambia, le gambe che vanno e il pensiero che si svuota. Non serve essere credenti per sentirne il peso.
La struttura attuale risale al ‘700, ma il culto è più antico. La leggenda racconta di un’immagine miracolosa portata da Costantinopoli e salvata da mille pericoli. Il portico, costruito secolo dopo secolo, serviva a proteggerla durante le processioni. Oggi protegge te: dalla fretta, dal rumore, da tutto quello che hai lasciato sotto.
E poi arrivi. E c’è silenzio. Il verde dell’Appennino si apre intorno, la cupola si staglia sopra di te, e Bologna — laggiù — sembra un’altra città.
Scendi che non sei più lo stesso.
Hai lasciato qualcosa su quegli scalini. Ma ti sei portato via molto di più.

Santuario di San Luca
Via di San Luca 36, Bologna
Tel. 0516142339

In copertina: Rocchetta Mattei.
Foto tartte dalle pagine FB e IG dei luoghi menzionati. 

  • ANDARE PER BORGHI

scritto da:

Lorenzo Trisolini

Classe ’94, curioso per natura e sempre con lo zaino pronto. Dopo una laurea a Bologna e un’esperienza in Australia, ci sono tornato sei anni dopo, scoprendo una città che sa sempre sorprendermi. Osservo, ascolto e racconto quello che vale la pena vivere

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