Vent’anni e non sentirli: a tu per tu con il sig. Mohan del ristorante indiano Rangoli

Pubblicato il 9 gennaio 2018

Vent’anni e non sentirli: a tu per tu con il sig. Mohan del ristorante indiano Rangoli

Come nasce (e cresce) un ristorante indiano di successo a Milano? Ce lo racconta Mohan, la vera anima del Rangoli

Nella centralissima via Solferino, in un luogo che appare quasi incantato fra le case basse di Brera ed i grattacieli di Gae Aulenti, c’è un luogo che ha scritto la storia della Milano degli ultimi vent’anni. Si tratta del secondo ristorante indiano aperto in città: il Rangoli che propone una cucina tradizionale del Nord dell’India curata nei minimi dettagli e fedele all’originale. Unico, proprio come il suo proprietario, vera anima del ristorante: il sig. Mohan Chauhan.

Mohan, come mai hai scelto di aprire il Rangoli?
Per me è sempre stato un sogno. Prima di partire per l’Italia, venticinque anni fa, lavoravo nel reparto marketing della FIAT in India. Poi ho chiesto il trasferimento e ho continuando ad occuparmene anche qui in Italia finché ho deciso di cambiare del tutto vita e di salutare il lavoro d’ufficio. All’inizio è stato difficile non trovare qui a Milano la cucina della mia infanzia, dei miei affetti, i sapori di casa. Di necessità virtù allora! Da qui è sorta l’idea: volevo far sì che tutti potessero assaggiare la cucina tradizionale del nord dell’India. Allora, cinque anni dopo il mio arrivo a Milano, ho deciso di dare vita al mio sogno aprendo il Rangoli.

Infatti da poco avete festeggiato vent’anni! Qual è stata la soddisfazione più grande di questi anni?
Proprio poco prima di Natale abbiamo festeggiato i nostri primi vent’anni. Abbiamo organizzato una grande festa alla quale abbiamo invitato tutti i nostri clienti affezionati e i tanti personaggi illustri che ci conoscono e ci seguono da tempo. È stato come un compleanno per me. L’emozione era grande: oltre all’ampio buffet abbiamo organizzato anche alcuni spettacoli di danza tipica indiana e siamo andati avanti a ballare fino a notte fonda. Sono tante le soddisfazioni di questi anni. La più grande è stata di certo vedere, dopo i primi due o tre anni di attività, che il ristorante iniziava ad ingranare. Ancora oggi siamo in continua crescita. Dopo i sacrifici iniziali quella spinta è stato molto importante. Poi c’è la soddisfazione quotidiana: vedere tornare le persone. Qui nessuno è un cliente, sono tutti illustri ospiti che ben presto diventano amici.

Nonostante i tanti coperti (un centinaio distribuiti su due piani) e pur essendo in settimana, il locale è pieno. 

Qual è la chiave del successo?
Penso che sia importante essere sinceri con le persone, saperle accogliere e dare loro la possibilità di vivere qualcosa di unico: non solo a livello culinario ma anche per quanto riguarda l’ambiente e l’accoglienza. Soprattutto quest’ultima: il servizio, oltre alla qualità della cucina, è tutto e fa la differenza.

Torniamo a noi, qual è il tuo piatto preferito?
Fammi pensare, sono tanti…adoro il Butter chicken. In italiano è letteralmente “pollo al burro” ma non rende l’idea. Si tratta di una fantastica salsa agrodolce vellutata che accompagna il pollo solitamente servito con riso bianco o il naan (il pane tipico indiano) cotto al forno Tandoori.

Con immensa meraviglia metto a fuoco dietro Mohan e mi accorgo che uno dei camerieri ha con sé un piatto e si avvicina proprio verso di noi. Mohan sorride e, con un gesto caloroso ed elegante, mi invita ad assaggiare. Si tratta proprio del suo tanto amato “Butter chicken” che ha fatto preparare appositamente per me. Quasi commossa assaggio. Dopo un solo morso le papille gustative sono in festa e la menta parte verso luoghi lontani caldi e pieni di colori, forse immaginati, probabilmente sognati.  

Ma ora dimmi, cosa speri per il futuro del Rangoli?
Io non voglio fermarmi ancora. Fra non molto lascerò le redini a mio figlio per la gestione ma le idee non si fermano qui. Uno dei miei prossimi progetti è quello di realizzare un buon servizio di take away attraverso l’apertura di nuovi punti Rangoli a Milano specializzati in quello. Ma non voglio svelare altro…

Dunque come mai hai deciso di passare le redini a tuo figlio? Non sarà di certo per stanchezza!
Non sono stanco né vorrei andare in pensione! Amo questo lavoro e non lo lascerei per nulla al mondo. Ciò che amo più di ogni altra cosa è la possibilità di incontrare tante persone. Si crea gruppo, ci si vuole bene! L’idea è invece quella di dare a lui la possibilità di gestirlo: probabilmente a Milano sarò il primo a passare le redini ad una seconda generazione. Voglio dare questo messaggio e lasciare spazio alla sua visione. So che questo lavoro è un po’ stancante ma è anche il lavoro più bello che ci sia.

Sicura di vederci presto ringrazio e saluto Mohan e mi avvio verso la porta con un po' di nostalgia, con una gran voglia di viaggiare ma anche di rimanere qui a Milano in una città che accoglie e che si colora di esperienze nuove, lontane e che non smette mai di stupire. 

  • INTERVISTA

scritto da:

Irene De Luca

Agenda, taccuino, registratore e macchina fotografica. Attenta alle nuove tendenze ma pur sempre “old school inside", vago alla ricerca di ispirazioni, di colori, di profumi nuovi per raccontare una Milano che poi tanto grigia non è.

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