Abbiamo provato le 50 sfumature di fumo di Stefano Mocellin

Pubblicato il 16 gennaio 2023

Abbiamo provato le 50 sfumature di fumo di Stefano Mocellin

Al Padovanino, la cucina dei sensi accesi.

Due anni fa Stefano Mocellin ritornò a Padova per raccontare crescita e tecnica solide, acquisite con esperienza milanese di Unico ed alla Diesel Farm, trasformando un locale classico in un luogo del gusto unico nel Triveneto, in cui il Kamado diventa ingrediente virtuoso.

Tre ambienti ed una storia

Le storie culinarie che Stefano scrive ogni giorno nella sua cucina trovano nella sala, se mai ce ne fosse bisogno, conferma tangibile del suo percorso di crescita.

E’ possibile servire tre menù diversi nel medesimo ambiente? Stefano crede che tutti i sensi debbano essere coinvolti fin da subito ed ecco l’idea delle tre sale: Milano, Venezia e Orto Botanico. 

Milano è la più contemporanea: racconta l’esperienza professionale dello Chef con gli oggetti di design, asciutti e puliti, il quadro che rappresenta il Duomo e le sculture che guardano oltre.


Venezia è l’omaggio alle sue radici venete: la Serenissima raccontata con discreta eleganza, il Leone che ti guarda severo e sornione e le maschere, che raccontano i sette peccati capitali.

Orto Botanico, eletto a raccontare il luogo de Il Padovanino, Padova appunto, in compagnia di un grande pavone che non è esibizione bensì bellezza, come i legni ed i licheni che rasserenano lo sguardo.


Provate a sedervi in un tavolo delle tre sale, che parlano tra di loro e con la cucina, chiudete gli occhi e respirate profondamente ed eccovi pronti per un’esperienza gastronomica tanto unica quanto comprensibile.

Tre menù ed un fil rouge

Che poi sarebbe un filo di fumo. Si, in quanto l’unicità di Stefano sta nell’abilità di padroneggiare strumenti di cottura come il Kamado e lo Yakitori, la griglia giapponese. Se il bbq ci rimanda ad una tecnica di cottura plaid air, dove su grandi braci vengono cotti grandi pezzi di carne, le cotture affumicate del giovane chef padovano sono la sintesi di una cultura e di una disciplina sofisticate che restituiscono al commensale un’inesperienza sensoriale davvero unica.

Il menù “Fuoco e Fiamme” è un percorso a mano libera interamente eseguito alla brace che prevede cinque portate, oltre al benvenuto della cucina ed al pre-dessert.

“Milano” è un menù dove la tradizione meneghina si evolve ed i grandi classici vengono rivisti e non stravolti: emozioni gustative che fanno volare, mantenendo i piedi per terra.

“Venezia” racconta il pesce, dall’ostrica al moscardino, dove la brace diventa un elegante abito da sera

“Extremis… La serata che non c’è” è un vero e proprio viaggio, un menù degustazione in dieci portate servite contemporaneamente ad un massimo di 10 ospiti. Come in un vero e proprio spettacolo si viene accolti alle 20.00 con un aperitivo e poi ci si lascia condurre in un mondo unico, quello dello Chef, caratterizzato da termini come “origini, identità, semplificazione” e realizzato con grande competenza nella tecnica e nella scelta delle materie prime, sempre superlative.

La mia cena in anteprima

Ho scelto Venezia per la mia esperienza gustativa, esperienza che si rivela piacevole fin dal pane, una selezione di lievitati realizzati con pasta madre, dalla leggerissima focaccia all’inconsueto lavash, il pane armeno. L’entrè è “Sarda, oliva ascolana di tonno, soup d’onion: si parte dal mare e si arriva alla terra, con una deliziosa zuppa di cipolle in miniatura.


Si continua con una proposta del menù Extreme, “Baccalà”, realizzato con il cuore di merluzzo lavorato come un baccalà mantecato in un tacos di farina di porcini passato alla griglia, caviale croccante, clorofilla di prezzemolo, gel di mela verde e lime.


La “Bouillabaisse alla griglia” ovvero la zuppa di pesce di Stefano, dove i pesci al piatto, gallinella, ricciola, rana pescatrice, gamberone, orata e cappa santa, vengono irrorati da una voluttuosa bisque realizzata con orata, astice, gamberone, gambero rosso, cozze, vongole, rombo, ombrina e ricciola. Un piatto davvero unico, anche per il numero di pesci presenti, a doppia cifra.


Le “Tagliatelle al cacao amaro, mantecate con demi-glasse di vitello e servite con ragù di cinghiale, ribes rossi, erba cipollina, pecorino e spuma di pecorino” un piatto dalla texture unica, un’esplosione di gusto ottenuto con “tante ore e tanto amore” ed un ingrediente segreto. Un piatto davvero godereccio, anche nella preparazione.


Il mare ritorna con un pesce davvero povero, come lo sgombro, che necessita di molta tecnica per diventare ciò che ho assaggiato: “Sgombro all’abete, aceto di cachi, cavolo nero al burro e aglio, mostarda di zucca e pere.”

Pensate allo Spaghetto al pomodoro e poi assaggiate quello di Stefano, cotto alla brace, dove l’affumicatura sembra un ricamo, a partire dalla scelta dei legni. Lo spaghetto lessato a metà cottura in acqua e ghiaccio, per togliere l’amido, torna in acqua calda per meno di 2’, e poi passato al Kamado, come il sugo al pomodoro, realizzato con diversi pomodori cotti a lungo e tutti separatamente.


Un fuori menù decisamente goloso, la “Coppa Lussuria” un dessert realizzato con crema tiramisù al sifone, ganasce al cioccolato, pasta bresciana di mandorle bruciate appena sapide. Molto lussuriosa e molta crunchy.


Si chiude con un apparentemente semplice gelato fiordilatte base vaniglia, ovviamente affumicato, in cui il gusto del fumo pulisce e profuma la bocca. Una brace fredda che si scioglie in bocca realizzato con pino, abete e faggio in Kamado, per oltre 3 ore, con flussi di temperatura che non superano i 62°. Effetto wow assicurato dall’inizio alla fine del percorso.

La cucina di Stefano è la cucina del “giusto tempo” che non significa una cottura a bassa temperatura ma è i tempi giusti delle preparazioni, senza scorciatoie. Rispetto all’esperienza di un anno fa è come se mangiassi un “altro riconoscibile”, un’evoluzione davvero importante in cui la padronanza della tecnica diventa virtuosismo senza la stucchevolezza dell’esibizione. La cantina nell’ultimo anno ha ricevuto la stessa attenzione della cucina e della sala e si è arricchita di luoghi, paesi, etichette e metodi in alcuni casi unici nel padovano.

Una domanda sorge spontanea ovvero come mai la cucina di Stefano non sia in nessuna guida. Davvero inspiegabile.

Al Padovanino, il luogo di Stefano Mocellin, è un ristorante in cui sedersi per godere di un piatto significa alzarsi più colti, grazie alla sua cucina sartoriale, priva di tensione, gentile. La cucina dei sensi accesi.

Stefano Mocellin al Padovanino
Indirizzo: Via Santa Chiara, 1 - Padova 
Telefono: 3756197434
 

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scritto da:

Annamaria Pellegrino

Veneziana, vivo e lavoro tra Veneto e Lombardia. Cuoca, food writer, docente di Gastrosofia, Accademica della Cucina Italiana e autrice a Geo (Rai 3) dove racconto di identità culinarie che si vanno perdendo nel logorio della vita moderna. Colleziono caccavelle e coltelli.

IN QUESTO ARTICOLO
  • Stefano Mocellin al Padovanino

    Via S. Chiara 1, Padova (PD)

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