Francesco Sciacca del Santa Virginia e la sua idea di cucina italiana

Pubblicato il 11 gennaio 2018

Francesco Sciacca del Santa Virginia e la sua idea di cucina italiana

“Penso che la nouvelle cuisine ormai sia morta e che la cucina molecolare morirà tra non molto”

Nato nel ‘79 a Milano, dopo esperienze di vario tipo nel settore del turismo e dell’accoglienza, Francesco Sciacca decide di seguire il profumo del suo vero sogno, diventare uno Chef e, insieme alla sorella Virginia, nel dicembre del 2016 apre il Ristorante Santa Virginia. Ed è così che, nel cuore pulsante di Brera, nasce un locale speciale, una perla incastonata in uno dei quartieri più belli di Milano.
Francesco, qual è la tua storia e cosa ti ha portato fin qui?
Sono uno chef passato “dall’altra parte della barricata” perchè, da quando abbiamo aperto il Santa Virginia, me ne occupo a 360°. Gestisco interamente la sala mentre ho delegato la cucina allo Chef Diego Pecchia, del quale ero secondo alla Cantina Di Manuela. In passato ho frequentato il corso professionale del Gambero Rosso a Roma e mi sono classificato primo su trentasei partecipanti. Ho cominciato a lavorare in svariati ristoranti: Unico, in Fiera a Milano, con lo Chef Baldassarre, poi l’Hotel Devero con lo Chef Bartolini a Cavenago di Brianza; quindi il Petit e la Cantina di Manuela a Milano, il Sans Souci e il Pulcinella a Montecarlo e il Verdura Golf Resort in Sicilia. Poi, finalmente, mi sono deciso a creare qualcosa di mio ed eccoci qui. Si è realizzato il mio sogno: il Santa Virginia, una reminiscenza antica e familiare.

Un forte attaccamento alle radici, giusto? Questo in cosa si tramuta nel tuo ristorante? Cosa c’è di te in tutto questo?
Il Santa Virginia rappresenta me nel passato e nel presente. C’è tantissimo di mio. Basti pensare allo stesso nome del ristorante. Devi sapere che io ho una adorata sorella, di nome Virginia, che è ora mia socia. Lei è, senza dubbio, la “direttrice artistica” del ristorante. In famiglia l’abbiamo sempre chiamata “Santa”, ma chi la conosce sa che è anche e soprattutto un diavoletto… da qui anche il logo del locale: una aureola ed una codina di diavolo! Di fatto Virginia ha ispirato estetica e tendenze del ristorante col suo stile inconfondibile e lo fa tuttora. Si devono a lei gli arredi e tutta la comunicazione. Il suo tocco è in ogni cosa. Così come il mio. Questi siamo noi e il Santa Virginia racconta la nostra storia.
Come mai hai scelto la cucina italiana per il Santa Virginia?
La cucina italiana è alla base della mia esperienza personale e lavorativa. Inoltre è indelebile in me l’esperienza di mia nonna, pugliese, che permea i miei ricordi vividi del passato. La cucina italiana rappresenta le mie radici. La mia idea di ristorazione deriva dalle mie radici e dalle esperienze di famiglia.
Quindi, di che cucina si tratta? Come definiresti la cucina del Santa Virginia?
Penso che la nouvelle cuisine ormai sia morta e non so quanto quella molecolare durerà (anche se ho amici che la propongono come Misha Sukyas). Questo perchè è estrema e come tutti gli estremismi tenderà ad affievolirsi.  Qui facciamo il contrario: radici e rivisitazione della tradizione. Non è una cucina minimalista o che vuole stupire a tutti i costi e scioccare. Vogliamo riproporre il sapore della tradizione rinnovandolo ma rimanendo su quell’idea di cucina tradizionale che ognuno ha impressa nei ricordi. Inoltre è una cucina molto attenta alla qualità delle materie prime, un valore posto sempre al primo posto: cambiamo il menù una volta al mese. Quindi andiamo oltre la stagionalità. Questo per garantire la freschezza degli ingredienti.
La definiresti una cucina gourmet?
No, non la definirei gourmet anche se il contatto con la scuola del “Maestro” Gualtiero Marchesi, di recente scomparso, è importante. La nostra è una cucina della tradizione rivisitata ma anche semplice, abbondante.  Da qui non si esce affamati ed è difficile mangiare tutte e tre le pietanze. Qui si propone un Confort Food: un cibo che accarezza corpo e spirito e fa sognare.

Per mia immensa fortuna e mio grande stupore, dalla cucina arriva una Cotoletta alla milanese, uno di quei pochi “classici” del menù che non cambiano mai e che rimangono costanti di stagione in stagione, a coccolare gli ospiti.

A volte proponiamo anche qualche contaminazione asiatica perchè il sous chef è di origine cinese. Questo è quello che proponiamo, il tutto in un luogo che mette a proprio agio, capace di coccolare. Per questo si torna qui, per la varietà, l’accoglienza e per la qualità dell’esperienza proposta. Lo stesso Chef Gualtiero Marchesi è tornato tre volte in un mese appena abbiamo aperto. Era uno dei nostri clienti più affezionati. Questo ci rende un grande onore. 
Quanto importa fare gruppo in brigata?
Il clima in una cucina è l’aspetto più importante perchè la serenità si trasmette anche nei piatti. Non si può trovare l’equilibrio se non si sta bene. Io, ad esempio, sono stato davvero fortunato a trovare Diego. 

Il tuo piatto preferito?
Io mangio qualsiasi cosa! Spesso dipende molto dal periodo ma mi piace davvero tutto. Questa è una grande fortuna perchè mi permette di conoscere tutto.
Allora raccontami un tuo piatto
Io amo cucinare i risotti. In questa carta c’è un piatto che adoro e che ho pensato io che unisce il mio amore per il risotto alla mia esperienza francese. Si tratta di Risotto capesante, fois gras e gocce di salsa al lampone. Ma anche i Tortellacci ripieni di bollito nel loro brodo: mi ricordano l’infanzia, le radici. Pur essendo un piatto tipico italiano, l’abbiamo rivisitato e scomposto: prepariamo il bollito, lo passiamo a macchina e poi lo usiamo come ripieno per i tortellacci verdi (realizzati con la salsa verde con prezzemolo, senape e acciuga, solitamente in accompagnamento al bollito).
Hai mai pensato: prendo e mollo tutto?
No, anche perchè non è neanche da così tanto che lavoro in questo settore. So che questa è la mia vita, è la mia passione. So anche che deve piacere altrimenti è molto dura. Io ce l’ho nel sangue. Mi dà tante soddisfazioni e non lo cambierei mai.

Sogni per il futuro?
Magari, fra dieci anni, mi piacerebbe aprire un locale in un posto più tranquillo...potrebbe nascere un Santa Virginia Mauritius, chissà!

Con gli occhi sognanti, a testa in su, Francesco mi accompagna verso la porta e mi invita a venire a trovare presto Virginia e tutto lo staff. Con lo stomaco pieno ed il taccuino colmo di appunti mi avvio verso l’uscita, sicura di tornare presto.

  • INTERVISTA

scritto da:

Irene De Luca

Agenda, taccuino, registratore e macchina fotografica. Attenta alle nuove tendenze ma pur sempre “old school inside", vago alla ricerca di ispirazioni, di colori, di profumi nuovi per raccontare una Milano che poi tanto grigia non è.

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