"La puccia", storia della realtà gastronomica più iconica del Salento
Pubblicato il 26 ottobre 2025 alle 08:00
Ci sono profumi e sapori che appartengono alla memoria prima ancora che al gusto. Ci sono occhi che parlano e riescono a far vivere la passione e l’amore per alcuni mestieri anche in una chiacchierata di pochi minuti. Quella che mi racconta Federica è una storia semplice ma bellissima, che parla di pane caldo, di ricette segrete, gesti antichi e mani che impastano. È la storia incredibile de La Puccia, una delle realtà gastronomiche più iconiche del Salento, custode di un sapere genuino eppure capace di parlare al presente, con la stessa libertà e autenticità di sempre.
Un racconto che parla anche di territorio, siamo a Trepuzzi, negli anni ’70, e la puccia nasce per caso, la nonna che non aveva più pane in casa, mette in forno un impasto lievitato più del previsto e appena schiacciato. Ne esce un pane quasi esploso, con una cavità interna. Come spesso succede nelle migliori scoperte, per puro caso nasce così la prima puccia, un piccolo miracolo domestico che. Una puccia somigliante a quella con le olive o a quella che si mangiava (e si mangia ancora) il 7 dicembre, giorno della Vigilia dell’Immacolata in cui si digiuna dalla carne, da qui infatti l’idea di comporla liberamente e riempire quella cavità di qualsiasi cosa: verdure, tonno, pomodoro, sottoli, affettati. Lasciando la libertà ad ognuno di comporre il proprio piatto. Qualche anno dopo, la seconda generazione prende il testimone. E i genitori di Federica innamorati del modello delle piadinerie, pensano di creare qualcosa di simile, ma con la puccia come protagonista. Nasce così, vicino ai Salesiani, il primo locale only puccia, un format completamente nuovo: semplice, veloce, conviviale. Il successo fu immediato e, in meno di un anno, il piccolo laboratorio dovette trasferirsi in un locale più grande, che sarebbe poi diventato la sede storica.
«La puccia non è mai stata un panino. È un gesto di libertà».
Chi entra nel locale lo sa: può scegliere tutto, in quantità illimitata, senza costi aggiuntivi. È un rito democratico del gusto, in cui ogni cliente costruisce la propria puccia ideale. Dietro questa semplicità si nasconde un principio preciso: nessun compromesso. Né sui prezzi, né sulla qualità, né sull’essenza di quella libertà che da quarant’anni accompagna ogni farcitura. La ricetta dell’impasto, tramandata oralmente dalla nonna fondatrice, resta un segreto di famiglia. Inimitabile, come il sapore dell’infanzia. Le verdure vengono cotte in loco, i sottoli sono scelti con cura maniacale, salumi e formaggi arrivano da fornitori di fiducia, e la stracciatella è fatta in casa. Negli anni, la puccia si è evoluta senza mai snaturarsi, con un occhio più “materno” che imprenditoriale e allora via il latte dall’impasto per renderlo adatto agli intolleranti, senza perdere la morbidezza originaria. È stata introdotta la puccia integrale, leggera e digeribile, per chi vuole mangiare bene senza rinunce. E poi la scelta consapevole di non offrire una versione senza glutine: la puccia è un pane vivo, che cresce grazie alla lievitazione naturale e alla manualità del momento. Un processo che non si può improvvisare, né dividere.
Negli ultimi anni, La Puccia ha iniziato un nuovo percorso, portando la propria anima anche fuori dal locale. È nato un carrettino personalizzato, pensato per eventi e feste, con cui la puccia è arrivata a manifestazioni come il Castro Wine Fest o l’Area Festa di Guagnano. Il nuovissimo step vede il carrettino protagonista dei matrimoni e di feste private. Puccette più piccole per l’aperitivo, snack notturni all’open bar, o magari un punto ristoro all’uscita degli sposti dalla chiesa. Un’idea che affascina anche gli stranieri che scelgono il Salento per sposarsi e vogliono offrire ai loro ospiti un’esperienza locale, fatta di genuinità e racconto.
La missione de La Puccia grazie alla professionalità di Federica, ingegnere gestionale specializzata in sostenibilità, è rendere l’azienda sempre più green. Lo spillatore gratuito di acqua ha preso il posto delle bottigliette d’acqua, con tanto di piccolo omaggio per chi aderisce all’iniziativa portando anche la sua borraccia personale. La birra è servita alla spina, le posate sono in legno di balsa, le confezioni compostabili, e la plastica quasi del tutto eliminata, anche dietro le quinte. Una scelta etica, che ha nel suo core business non solo il rispetto per la terra da cui tutto è iniziato, ma anche (e soprattutto) la tradizione del territorio, la forza delle famiglie salentine, la libertà e il profumo del pane caldo che, da oltre quarant’anni, continua a lievitare.