Dove i caffè hanno una storia reale. Maela Galli racconta la Torrefazione Cannaregio

Pubblicato il 14 giugno 2022

Dove i caffè hanno una storia reale. Maela Galli racconta la Torrefazione Cannaregio

Siamo andati a trovare uno dei posti di culto per il caffè a Venezia, l’unica torrefazione in tutto il centro storico dove avviene anche la mescita del caffè, Torrefazione Cannaregio. Come arrivo, vengo subito accolto da Chiara, una giovanissima ragazza dello staff che mi introduce al mondo della Torrefazione. È preparatissima e mi racconta con passione le storie dei caffè che vengono serviti nel locale, mentre assaggio l’Indiano Monsonato Malabar: un caffè la cui pianta subisce l’influenza dei Monsoni, sviluppando particolari muffe che vanno a ridurre il contenuto di caffeina del prodotto finale, rendendolo, di fatto, quasi un decaffeinato naturale.


Per Chiara, Torrefazione Cannaregio è un posto che invita alla tranquillità, dove le persone vengono anche a leggere e a studiare e dove ci si rilassa. Ma anche, aggiungerei io, dove ti raccontano, proprio come sta facendo Chiara, delle storie.

Nel frattempo arriva Maela, la titolare, pronta per soddisfare qualche curiosità in più e qualche dietro le quinte di Torrefazione Cannaregio. È originaria di Milano, e il suo sogno è sempre stato quello di aprire una caffetteria…

Ciao Maela! Cosa ti ha portato oggi a essere qui a gestire un posto come Torrefazione Cannaregio? Come ci sei arrivata?

La passione per il caffè mi è stata trasmessa dai miei genitori. Fin da quando ero piccola, il weekend a Milano andavamo sempre in torrefazione ed era un vero e proprio rito. Poi, crescendo ho anche viaggiato molto, soprattutto in Nord Europa, lì le caffetterie sono concepite come punto d’incontro, più che come bar dove si prende un caffè al volo. Quest’idea mi è piaciuta molto. Il mio sogno era quello di aprire una caffetteria ai Navigli, ma ho avuto l’opportunità di venire qui alla Torrefazione.

Che cosa ti piace di questo lavoro?

Innanzitutto amo il contatto con il pubblico e mi piace molto stare al banco. Ma poi adoro anche trasmettere la passione per il caffè: in Italia siamo abituati a berlo ma quasi sempre velocemente, senza fermarsi e senza mai ragionarci più di tanto. Mi piace l’idea di un posto dove fai anche due chiacchiere su quello che bevi, dove scopri qualcosa. È anche divulgazione. Il bancone infatti è così basso perché il cliente possa vedere tutto il processo di realizzazione del suo caffè, e ha anche l’opportunità di fare domande e di incuriosirsi. A volte non ci pensiamo, ma la cultura del caffè è comparabile a quella del vino o della birra.

Infatti ho visto che anche tutti i ragazzi sono preparatissimi…

Sono tutti bravissimi, sono formati sui prodotti che vendiamo e li faccio partecipare a corsi di formazione. Per me è importante che ognuno di loro si faccia un’idea sui vari caffè, perché poi da opinioni diverse nascono opportunità di confronto.

E i caffè che vendete come vengono scelti?

I caffè che trovi qui non sono commerciali, e provengono da realtà che aiutano lo sviluppo dei paesi d’origine del prodotto. Trovo sia giusto contribuire alle crescita delle popolazioni che ce li portano, ed è anche per questo che qui costano un po’ di più. Ma sono tutti caffè che hanno una storia reale.

Com’è il rapporto con la clientela?

Qui vengono molti stranieri, anche perché sono più abituati a questa concezione di caffetteria. Ma anche i locali si stanno abituando, e abbiamo uno spettro di clientela vario, che va dallo studente all’anziano, ma vengono anche molte mamme. Adesso, anche alcuni anziani, che sono sempre i più riluttanti alla novità, vengono qui e ci chiedono di assaggiare il caffè nuovo. Per me è un motivo di grande soddisfazione, significa che stiamo lavorando bene. Il merito è del team, che ci mette tanta passione e usa il giusto approccio.

Torrefazione Cannaregio
Fondamenta dei Ormesini 2804, Cannaregio
Tel. 041 716371

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scritto da:

Damiano Fantuz

Amo la musica alternativa e trovo che negli anni Ottanta tutto fosse più bello. E amo Venezia e le sue osterie. Forse quello che mi piacerebbe di più sarebbe frequentare quelle stesse osterie, ma negli anni Ottanta

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