Dino Perrone: «La Puglia deve imparare a guardare oltre i prezzi dei piatti»

Pubblicato il 10 agosto 2022

Dino Perrone: «La Puglia deve imparare a guardare oltre i prezzi dei piatti»

Ospite di Gusto Jazz a Corato, lo chef di origini tranesi trapiantato a Milano spiega come costruire la rinascita turbo-gastronomica della regione

Il jazz è pieno di serendipity. Si fanno scoperte casuali e brillanti mentre si è impegnati a cercare altro. Ad esempio, il mondo ha scoperto il talento di Miles Davis perché, ancora giovanissimo, una sera, durante un concerto al Riviera Club di St. Louis della big band di Billy Eckstine, ha sostituito uno dei trombettisti, ammalatosi all’ultimo momento. A porre l'invito estemporaneo è stato Dizzy Gillespie, che era lì a suonare con alcune leggende del calibro Charlie Parker, Sarah Vaughan e Art Blakey.

Dino Perrone, 43 anni, originario di Trani e oggi trapiantato a Milano, è diventato chef studiando e praticando, proprio come Davis, ma è stato il “sì” a un invito inatteso ad aver fatto di lui un cappello alto. «Ero allo Sheraton di Genova e mancava lo chef. Mi sono offerto di cucinare e, dopo il successo di quella serata, ho capito che quella era la mia strada». Dal 1996 gira per cucine, sfruttando ogni occasione per imparare e migliorare dal punto di vista qualitativo e imprenditoriale.

Lui, che non nasce come cuoco ma come ragioniere, ha iniziato pulendo pentole dopo la scuola. Quando lo hanno chiamato come ospite a Gusto Jazz, rassegna musicale curata da Alberto Lamonica e Art Promotion in collaborazione con il Comune di Corato tenutasi dal 25 al 31 luglio scorsi, Perrone ha chiesto cosa dovesse cucinare. Quando gli hanno detto che doveva salire sul palco per raccontare la sua storia, ha indossato una giacca nera e ha dato la sua ricetta per costruire una Puglia turbo-gastronomica.

Dino Perrone, dopo gli inizi nel nord barese hai fatto il salto verso la grande Milano. Cosa è cambiato per te?

Ho fatto un salto sia tecnico che qualitativo. Questa piazza è generosa, offre tante occasioni: sta a chi ci va prenderle e gestirle nel modo migliore. È vero, i costi sono alti, ma ci sono tantissime possibilità da sfruttare.

Dopo una lunga gavetta pugliese, a Milano sei anche diventato professore alla Food Genius Academy. Cosa ricordi di quella esperienza?

Ci sono arrivato grazie a Marianna De Palma, direttrice dell'accademia e amica. Qui ho conseguito l'attestato professionale, che mi ha permesso di entrare in cucine di altissimo livello.

Quali sono gli chef che hai amato di più?

Carlo Cracco, Antonino Cannavacciulo e Marco Ambrosino.


Qual è la tua filosofia in cucina?

Less is more. I miei piatti non devono avere più di 3, 4 ingredienti. Preferisco limitare più che aggiungere e, per farlo, lo studio continuo è fondamentale. Ad esempio, da appassionato di coltelli giapponesi, ho imparato che anche il giusto taglio di un filetto di pesce può fare la differenza anche nel sapore.

Tra i tanti riconoscimenti che puoi appuntare sulla tua casacca c'è un folto riconoscimento social.

Oggi ho quasi 30mila follower, ma prima che mi fosse hackerato il profilo erano 400 mila. Li ho conquistati con le foto dei miei piatti.

Quando hai iniziato?

Mentre i miei colleghi hanno potenziato i propri profili social durante il Covid, in quel periodo ero impegnato con la redazione di D di Repubblica. Passati i lockdown, ho iniziato a far vedere su Instagram quelle ricette che avevo voglia di realizzare, ma non avevo mai il tempo di fare. E ho scoperto che, oltre ai tecnici, tante persone normalissime mi stavano seguendo. Da questa vena “semplice” è nata anche una delle collaborazioni di cui vado più fiero, quella con GialloZafferano.

Un piatto particolarmente amato?

Gli spaghetti con le cozze, in una versione goduriosa e semplice da preparare anche a casa.


Cosa hai pensato quando ti hanno invitato a un festival di jazz e cucina?

Ho pensato “perché vogliono me?”. Sono tornato qui agli inizi di luglio per Buona Puglia e pensavo mi avessero chiamato per un bis. Poi ho scoperto che non volevano che cucinassi, bensì che parlassi. Sono andato in crisi!

Quanto hanno in comune jazz e cucina?

Tanto. Inaspettatamente, la musica può cambiare gli esiti di un piatto. Vivo il jazz come una melodia da abbinare a un cocktail o a un buon vino, da sorseggiare accanto a un piatto godurioso e corposo.

Improvvisazione: quando avviene sul palco, ci fa impazzire. Cosa succede quando avviene ai fornelli?

Per me è un elemento quotidiano: non penso mai i piatti prima di farli. Posiziono gli ingredienti e poi mi lascio guidare dalla sincerità e dalla purezza. Anche perché, se fingi, la gente se ne accorge. Se improvvisi, il reale diventa sostanza.

Hai dato larga fiducia al Sud per molti anni, ma sembri aver trovato la tua strada una volta arrivato a Milano. Cosa manca alla nostra Puglia per diventare turbo-gastronomica?

Siamo ricchi di prodotti, che la gente ci invidia e pagherebbe oro pur di avere. Dalle cipolle ai pomodori, passando per il pesce e i lampaggioni. Ma la verità è che in pochi sanno gestirli. Se un agricoltore si alza alle tre per darti la migliore zucchina del suo orto, devi rispettarla. Poi manca un approccio fondamentale.

Quale?

Bisogna cambiare visione rispetto al prezzo del piatto. Non si sta vendendo un prodotto, ma la vita e la passione di produttori, chef, operatori. Su questo la Puglia è un po' indietro. Ma nell'ultimo decennio qualcosa è cambiato, soprattutto nell'entroterra.

Quali sono i punti di forza della nostra regione?

Tra i punti di forza ci sono le persone, i prodotti e le temperature. Da aprile a novembre possiamo godere delle bellezze della natura. A Milano cerco la luce e il calore di questo sole nei prodotti dei fornitori pugliese, che sanno cosa vuol dire avere una produzione a km vero.

Qual è lo chef pugliese – anche non operativo in Puglia – che ti piace di più?

Angelo Sabatelli: è uno scandalo che abbia ancora una sola stella Michelin. Poi ci sono Antonio Bufi e Savino Pasqua Di Bisceglie.

Consigli per chi vuole iniziare.

Bisogna iniziare pensando di non arrivare subito. È un lavoro duro, difficile, da fare con passione. Ti porta via dalle feste, dalle amicizie, dai compleanni. Ti porta dolori fisici. Ma se c'è la passione di arrivare a un obiettivo, non ci si ferma più. Inoltre, bisogna sempre continuare a studiare perché c’è sempre qualcuno che ne sa più di te.

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scritto da:

Stefania Leo

Giornalista e appassionata di cibo, amo vedere e raccontare tutte le storie che si intrecciano in un piatto. Cucino, leggo e non mi fermo davanti a nessun ingrediente sconosciuto: è solo il punto di partenza per un nuovo viaggio gastronomico.

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