10 angoli verdi di Bologna per staccare e passarsela bene

Pubblicato il 15 luglio 2025

10 angoli verdi di Bologna per staccare e passarsela bene

Hai bisogno di un posto dove sederti, ma non solo. Ti serve un prato che ti accolga come se ti conoscesse da sempre, un’ombra larga, una birra ghiacciata, un odore che ti sposti i pensieri. Bologna, quando vuole, sa farlo. Toglie l’asfalto, mette il verde, abbassa il volume e ti lascia stare. 
Alberi per stare freschi, chioschi che spuntano come miraggi con granite, cocktail, gelati, fritti, vino. Luoghi dove ci si sdraia, si legge, si fa finta di studiare, si dimentica di andare via. Alcuni sono storici, altri nati da poco, tutti diversi, tutti veri.
Sono dieci rifugi, dieci respiri, dieci punti dove Bologna si leva le scarpe, si scompone e si lascia guardare. Non ti serve molto: un telo, un pomeriggio, qualcuno con cui condividere un cono o il silenzio. Il resto succede.

Il polmone verde


Lo capisci dal rumore: una bicicletta che fruscia sull’asfalto liscio, un pallone che rimbalza troppo forte, una voce che chiama un nome due volte. Poi solo il verde. Un verde che inghiotte e protegge, che sa di storie vissute e già vissute, di piedi scalzi e prime volte. Qualcuno corre per scappare da se stesso, qualcuno legge per non pensare, qualcuno si stende e lascia che la luce gli attraversi la maglietta.
Siamo ai Giardini Margherita, lato est di Bologna, in mezzo ai viali signorili.
C’erano i leoni, una volta, veri, chiusi in gabbia in mezzo a tutto questo silenzio verde. C’erano gli orti, la guerra, la festa dell’Unità, i bambini dell’estate e il ghiaccio sul lago. Oggi ci sono granite, birre, chioschi, lo Chalet (in foto) nascosto tra gli alberi come un pensiero che ti torna all’improvviso. Ma niente è davvero cambiato, tutto si è solo spostato un po’.
Cammini tra ruscelletti che non fanno rumore, passi sopra radici vive, sbuchi in spazi di luce dove si ride, si ama, si dorme, si dimentica. C’è odore di crema solare e nostalgia. C’è Bologna, tutta, stesa nell’erba. Che aspetta, che accoglie, che respira anche per te, se non ce la fai più. E che, ogni tanto, ti salva.

Giardini Margherita
Viale Mazzini Gozzadini / Viale Carducci, Bologna

Succede anche quando non succede


Sopra la città, ma mai davvero lontano da lei. Qui c’è la terra di riporto, le pietre della rabbia, le ossa del mercato e delle rivolte. La Montagnola è nata da macerie e barricate, cresciuta con le grida dei cavalli, delle mongolfiere, dei mercatini dell’usato e delle manifestazioni di chi non ha paura di dire la sua. È uno sbuffo di collina incastrato tra gli strati della città.
Ci si arriva da via Indipendenza come da un sipario: scale monumentali, statue eroiche, fontane con piovre e ninfe svenute, marmo che racconta guerre, arte e fatica. E poi si apre tutto: un viale, le panchine, gli alberi alti, i tavolini del chiosco, la birra che suda e la musica che vibra a basso volume dal Montagnola Republic (in foto). Intorno, skater, ragazzi con lo sguardo largo, anziani immobili come sentinelle.
Qui succede qualcosa anche quando non succede niente. Qui Bologna si guarda allo specchio e non si pettina. Qui si viene per sentirsi parte di un caos che ha radici, storia, futuro. Anche se a volte fa paura, la Montagnola è sempre viva. E chi è vivo, prima o poi, ci passa.

Parco della Montagnola
Via Irnerio / Scalinata del Pincio, Bologna

Ci eravamo tanto amati


Cavaticcio, Scavezzacollo, Fiaccacollo, Sega dell’Acqua: nomi come schiaffi sul volto gentile della città. Per secoli qui passavano le vene vive di Bologna, canali e turbine, mulini e ingranaggi, odore di segatura, panni stesi e carta fresca.
Siamo tra il Mambo e via Marconi, a due passi dal Pratello. Per cinque anni questo parco è stato in pausa, un cantiere d’aria. Ma adesso si risveglia. Si scrolla di dosso il silenzio, si stira come una belva in letargo e torna ad alzare il volume. Il Lido Ruggine (in foto) — costola estiva del Bar Ruggine — ha rimesso ombrelloni, sdraio, cocktail artigianali e line-up da ascoltare stesi. E intorno riprende il vociare, il vino nei bicchieri di plastica, i food truck, i brindisi, le risa che corrono lungo il canale coperto.
Sopra la Salara, la gente si siede dove un tempo si caricavano barche. Sotto la stella di Zorio, tornano i passi, le bici, la musica a basso volume che rimbalza tra le sculture. Il Cavaticcio è di nuovo vivo. E chi lo conosce lo sa: quando si sveglia, meglio non restare a casa.

Parco del Cavaticcio
Via Azzo Gardino (accanto al MAMbo), Bologna

Premere il tasto stop

C’è un punto in città in cui il vento sa le storie meglio di chiunque altro. Sa dei campi di grano, delle case coloniche, dei bambini di oggi e dei bombardamenti che hanno cancellato tutto. Sa che qui, una volta, c’era una villa. Sa che oggi, al suo posto, ci sono otto ettari di erba e silenzio, un canale che scorre senza clamore, latifoglie autoctone che non chiedono attenzione.
Villa Angeletti è scomparsa, ma resta intatta nel modo in cui questo parco respira. Le famiglie lo abitano come fosse casa. Chi arriva da via Carracci incontra il chiosco, una fontanella, un’ombra buona. Poi inizia il vuoto fertile: prati, alberi, biciclette che sfrecciano, bambini che si rincorrono, ragazzi che si perdono nei pensieri.
C’è un anfiteatro che d’estate si riempie di voci, il Bar Fermento (Fermento in Villa in foto) che sforna birre a go-go ma il vero spettacolo, però, è intorno: natura che cresce in silenzio, città che osserva a distanza. E il vento, che racconta tutto.

Villa Angeletti
Via de' Carracci / Zona Bolognina, Bologna

Il silenzio e la memoria

Il nome resta lì, inciso sul marmo e nella testa: 11 settembre. Una data che non ha bisogno di spiegazioni. Una ferita che si è fatta giardino, verde al posto del vetro, silenzio al posto delle sirene. Bologna ha voluto ricordare così: un parco nel cuore del quartiere Porto, nato dalla Manifattura delle Arti, gemellato con il memoriale di New York, con tanto di targa e con il “Survivor Tree”, figlio di quell’unico pero scampato alle macerie.
Oggi il parco è un luogo di pausa. Le chiome larghe degli alberi creano rifugi d’ombra, i bambini corrono a zig zag tra le coperte, qualcuno fa yoga, qualcuno legge. C’è un piccolo chiosco che aggiunge un tocco da vacanza urbana, con la birra fredda e il ghiaccio che suona nei bicchieri di plastica. Spaziale lo spiazzale dove i ragazzini, appena arriva la primavera, si sfidano a Joga Bonito.
Qui tutto è sospeso. E quando il sole cala, anche la memoria sembra meno pesante, più dolce, quasi abitabile.

Parco 11 Settembre
Via Riva di Reno / Piazzetta Pier Paolo Pasolini, Bologna

All you need is green

Giardino Parker-Lennon: nome da copertina, cuore da quartiere. A San Donato non ci sono colline né panorami, ma ogni tanto spunta un angolo così, che fa respirare. Qui non serve molto per sentirsi bene: una panchina all’ombra, un pomeriggio che scivola piano, un cono gelato preso al chiosco e mangiato con lentezza, seduti sul bordo dell’aiuola come quando si era ragazzini.
L’estate, però, cambia tutto. I tavolini si riempiono, spuntano le luci tra gli alberi, arrivano piccole sagre, griglie accese, eventi che sembrano cominciare per caso e poi fanno restare tutti fino a tardi.
È un parco strano, un po’ defilato, incastrato tra via del Lavoro e il battito industriale della città, ma è proprio lì il bello: un’oasi  che non racconta grandi storie, ma le lascia succedere. Dove ci si incontra anche senza appuntamento, e si resta volentieri anche da soli.

Giardino Parker-Lennon
Via del Lavoro / Zona San Donato

Scala la collina

Non serve uscire da Bologna per sentirsi altrove. Basta salire fino a Villa Spada, sopra porta Saragozza, e cambiare marcia. Sei su un’altura  con vista, curve e sentieri che sembrano rubati all’Appennino. Il parco è grande, quasi sei ettari, con pini, allori, lecci e scorci su tutta la città. Se sei un fuorisede e non sai dove buttarti un pomeriggio d’estate, sali qui con una birra nello zaino, qualcosa da leggere o da raccontare, e ti passa.
Un tempo era villa aristocratica: prima Zambeccari, poi Spada, poi pure un dignitario egiziano con moglie bolognese e orecchini spariti. Ora c’è il museo della tappezzeria, ma fuori — fuori c’è tutto. Alberi che sembrano presi da un film, silenzi da cartolina, panchine sotto la torre neomedievale dove, dice la leggenda, fu rinchiuso Ugo Bassi prima della fucilazione.
Ci si può allenare, chiacchierare, perdere. Ma anche solo sedersi. E sapere che sì, Villa Spada era quello che cercavi in un pomeriggio qualunque sotto le Due Torri.

Villa Spada
Via di Casaglia 3, Bologna

Natura di sangue blu

Lascia spazio alla natura e al pensiero. È lì che comincia Villa Ghigi. Non serve lo zaino da trekking, bastano quindici minuti a piedi da Porta San Mamolo per cambiare dimensione. Il selciato lascia il posto alla terra, le voci al fruscio, il caos all’aria piena.
Una villa c’è ancora, anche se chiusa da tempo. Lì dentro, fino agli anni Settanta, vivevano i Ghigi: Callisto, avvocato e botanico per passione, e Alessandro, professore di zoologia, rettore dell’Alma Mater, amante dei fagiani esotici e delle voliere. Da allora, 30 ettari di verde sono diventati patrimonio pubblico, con alberi autoctoni, colline, orti, sentieri che sembrano disegnati a mano.
Oggi a Villa Chigi si sale per un picnic improvvisato, per studiare sull’erba, per mangiare qualcosa alla Casa del Custode, per sentire il silenzio che accoglie e non mette soggezione. C’è chi ci cammina, chi ci corre, chi ci si perde dentro. In estate può capitare un evento, un cine all’aperto, una lezione nel bosco. Ma non serve nemmeno quello.
Perché basta quel punto lì, in cima: un affaccio sulla città che toglie ogni alibi.

Villa Chigi
Via San Mamolo 105, Bologna

Fino all’ultimo gradino


Prima ti sale la curiosità, poi la fatica. Sotto i piedi senti il tempo: 300 gradini di pietra, vegetazione che si infittisce, Bologna che sprofonda sotto di te mentre sali, e sali ancora. Il Parco San Pellegrino non lo trovi per caso. È un piccolo segreto arroccato sopra la città, e per arrivarci devi volerlo davvero. Ma ne vale ogni goccia di sudore.
In cima, una terrazza naturale si apre sul cielo. San Luca sembra vicina da toccarla, e tutta Bologna ti si sdraia davanti, come se ti stesse aspettando. Il vento anche qui racconta storie antiche: quelle della famiglia Breventani, dell’ex ritiro religioso, dei pioppi neri e dei sambuchi lungo il rio.
È un posto dove si viene a cercare qualcosa — ossigeno, ispirazione, silenzio — e si trova molto di più. E quando scendi, ti senti più leggero. O forse solo più vivo.

Parco San Pellegrino / 300 scalini
Via di Casaglia / Scalinata 300 scalini

Il segreto nobile di Casalecchio

Talon, suona come un mistero. Un nome che potresti trovare in un romanzo, o su una mappa segreta. Ma il Parco della Chiusa — per i locali semplicemente “Talon” — è reale eccome. Basta uscire appena da Bologna, superare Casalecchio, e infilarsi in questo enorme spazio verde che non sembra nemmeno vero. Ci arrivi in bici se hai gamba buona, o in macchina se vuoi godertelo senza sudare.
Un tempo era roba da nobili, con le ville Sampieri Talon, i giardini alla francese, le feste settecentesche e i paesaggi progettati come quadri: laghetti, statue, boschi da caccia, chioschi con vista Reno. Oggi restano i sentieri, i prati, gli scorci rubati tra i rami, i ricordi che ancora si sentono sotto i piedi.
Il Sentiero dei Bregoli ti porta su, verso San Luca, ma anche restando giù ti perdi bene: c’è chi legge sull’erba, chi cammina con lo sguardo largo, chi si nasconde tra i rami per un bacio o un pensiero.
E ogni se sei fortunato tanto spunta un airone.

Parco della Chiusa (Talon)
Via Panoramica, Casalecchio di Reno


In copertina: Montagnola Republic.
Le foto sono tratte dalle pagine FB e IG dei locali e eventi citati. 

  • VACANZE IN CITTÀ

scritto da:

Lorenzo Trisolini

Classe ’94, curioso per natura e sempre con lo zaino pronto. Dopo una laurea a Bologna e un’esperienza in Australia, ci sono tornato sei anni dopo, scoprendo una città che sa sempre sorprendermi. Osservo, ascolto e racconto quello che vale la pena vivere

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