Giuseppe Romanazzi, il self made man della ristorazione di Giovinazzo

Pubblicato il 10 marzo 2021

Giuseppe Romanazzi, il self made man della ristorazione di Giovinazzo

Guardando la vecchia torre di guardia con le fondamenta in acqua, ha capito che doveva iniziare da qui a scrivere il suo futuro. Gli strumenti per farlo? Il cibo, le emozioni e la fantasia

Giuseppe Romanazzi è partito da una visione: un ristorante curato in ogni dettaglio in una torre di guardia lambita dal mare di Giovinazzo. Chef di professione, imprenditore per vocazione, si è rimboccato le maniche e ha iniziato, destreggiandosi tra cucina e sala fino a mettere insieme un team che oggi offre una delle esperienze gastronomiche più interessanti della città e della costa a Nord di Bari. Come si arriva al successo dalle pietre di un edificio dimenticato? Duro lavoro, tanta passione e la creatività che permette di dare il meglio ai fornelli e con i propri clienti. Romanazzi's Restaurant è la conferma che volere è potere.

Come nasce l’idea di un ristorante in una vecchia torre di guardia?
Tutto è iniziato nel 2013, per caso. Lavoravo a Bari e mi arrivò la voce di questo ristorante in vendita. È stato amore a prima vista, anche perché nel cuore di ogni chef c'è il desiderio di avere un ristorante proprio. Ho iniziato con niente da perfetto sconosciuto, pian piano con tanto lavoro e tanta umiltà sono riuscito ad oggi a conquistarmi la fiducia dei miei preziosi clienti.


Da quei giorni hai fatto moltissima strada. Tra i tuoi cavalli di battaglia c’è il crudo di mare, pensato con frutti di mare, ricci crostacei e carpacci. Se dovessi spiegare questo rito tutto pugliese a chi non l’ha mai mangiato, cosa diresti? Perché ci piace tanto?
Sono sapori con cui si nasce. Per noi, assomiglia al latte che beviamo da neonati: conosciamo sin da piccoli questo sapore. A chi viene da fuori piace l’idea di assaggiarlo ma non è per tutti. Ma per il barese è un must: no crudo, no party!


Come deve essere fatto un piatto di pesce crudo secondo Giuseppe Romanazzi’s?
Prima di tutto dall’accurata selezione della materia prima, che da noi è sempre iperfresca. Poi c'è il necessario abbattimento, procedura che seguivamo ancora prima che diventasse obbligatoria per legge. Personalmente, diffido dal consumo del pesce sfilettato davanti al cliente. Chi ci sceglie, sa che si può affidare a noi. Poi aggiungo un tocco di estro, creando curiosi abbinamenti che vanno a esaltare e non a coprire il sapore delicato del pesce crudo. Hai mai provato un'ostrica francese con un filo di olio evo monocultivar coratina?

Ma non è un'eresia?
Molti dicono che è un sapore troppo deciso, che copre quello del pesce crudo, ma secondo me è un ingrediente che esalta la parte grassa delle ostriche, aggiungendo un tocco di piccante.


Come nasce un piatto di Romanazzi’s?
A volte mi lascio ispirare dai grandi eventi della vita. A volte da ciò che resta in cucina dopo l'ultimo servizio. Ad esempio, ho dedicato tre piatti dalla nascita di mia figlia. Lo Spaghettone bruciato, uno dei nostri cavalli di battaglia, nasce dal ricordo della pasta al forno della mamma riscaldata il lunedì a pranzo, in padella. Quella leggera crosticina, mangiata a tavola con mia moglie, mi ha sbloccato quel ricordo. Ho attualizzato il piatto con un ragù di cozze e un bagnetto di peperone giallo, per addolcire l'effetto finale.

Leggendo il tuo menu, sembra che ti diverti molto con i nomi.
Sì! Lo Spaghettone ne è un esempio. Da quanto lo si ordina fino all'arrivo in tavola, sono pronto a giocarmi qualunque cosa, ma sono certo che il cliente è lì che pensa: «Ma sarà davvero bruciato?».


Come scegli la tua materia prima?
Stabilendo rapporti di fiducia con i fornitori, grazie a incontri fatti prima di iniziare la stagione. Do precedenza alla Puglia, cosa che mi aiuta a creare una cucina tradizionalmente innovativa. La tradizione è il punto di partenza, che innoviamo con tecniche di cottura e di conservazione. Mi piace pensare alla mia carta come a un Nuovo Testamento pugliese.

Vino: quanto conta in una cena da Romanazzi’s e perché?
È alla pari del cibo: un cattivo vino rovinerebbe un ottimo pranzo. La scelta del vino e il giusto abbinamento è importantissimo: per questo siamo sempre a disposizione in sala per indirizzare i commensali verso la scelta giusta.


A proposito di abbinamenti: nella tua carta dei dolci ogni dessert è abbinato a un distillato o superalcolico. Da dove viene questa idea che ci libera dall'imbarazzo di ordinare sempre “il solito” amaro di fine pasto?
In Puglia si dà per scontato che l'amaro deve essere offerto dopo aver pagato il conto, ma così si abbassa la qualità di ciò che viene servito. Ho preferito alzare il livello di distillati e fine pasto, togliendo il cliente dall'imbarazzo del dover scegliere tra prodotti sconosciuti. L'abbinamento è servito già in carta, con almeno tre opzioni tra i tanti distillati disponibili per ciascun dessert.


La persona più famosa che è stata da te, cosa ti ha detto del tuo locale?
Sono venuti a mangiare da noi tanti vip: Rocco Papaleo, Caparezza, Federica Pellegrini e Filippo Magnini. Ma il complimento più bello resta quello di Selvaggia Lucarelli, che dopo la cena ha scritto «merita la sosta».


Qual è segreto della cucina pugliese?
Il segreto sono le mamme e l'emozioni che mettono in cucina, che ci portiamo dietro per tutta la vita.

Una ricetta per il turismo a Giovinazzo.
Il mio sogno è sempre stato quello di far utilizzare il gozzo, come una sorta di gondola veneziana, tra le acque del nostro Adriatico. Il pescaturismo potrebbe essere la nostra ricetta vincente.

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scritto da:

Stefania Leo

Giornalista e appassionata di cibo, amo vedere e raccontare tutte le storie che si intrecciano in un piatto. Cucino, leggo e non mi fermo davanti a nessun ingrediente sconosciuto: è solo il punto di partenza per un nuovo viaggio gastronomico.

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