Una giovane Bottura cresce al DiMe, il localino più industrial chic di Marghera

Pubblicato il 6 giugno 2017

Una giovane Bottura cresce al DiMe, il localino più industrial chic di Marghera

Avete presente quel modo di dire che recita “prendi l’arte e mettila da parte”? Ecco, in testa mia era sempre rimasto un proverbio. Al DiMe l’ho tradotto finalmente in realtà. Già perché il bistrot nel cuore della Marghera industriale trasuda arte da tutti i pori. Non di quella noiosa e datata. Nemmeno di quella troppo contemporanea, vista e rivista. Un concentrato di originalità, frutto di una ricerca non scontata. E’ da sussulto quando scoverete, nel mezzo di un’area del tutto commerciale, questo localino che sbuca fuori dal resto per via del suo design del tutto unico, dal tocco, mi viene da dire, un po’ industrial chic.

L’esterno è rivestito da lamiere di recupero che mi ha ricordato, per forme e simmetrie, alcuni localini del quartiere Harajuku dell’eccentrica Tokyo. Se non fosse stato per le due giganti posate a dare me il benvenuto, avrei pensato di varcare la soglia di un centro d’arte un po’ alternativo.

Un interno decorato in ogni minimo dettaglio, dal pavimento in legno di esperta fattura e le opere muranesi, ai tavolini disegnati su misura, mi ha fatto invece sentire all’interno di un ristorantino ultra-curato adatto al mio umore, fosse quello di ieri o quello che avrò domani.

Già, perché al DiMe è impossibile non sentirsi bene. Così come un pizzico viziati, al sedersi su delle sedie che provengono da un vecchio cinema e che la chef e titolare Serena, messe da parte anni addietro, ha coniugato in originalissimo pezzo d’arredo.

Amante delle cose belle e con un passato nel mondo dell’arte e nelle case d’asta londinesi (non vi ricorda un po’ forse Bottura con la sua passione per l'arte - trasmessa dalla moglie - così evidentemente espressa in Osteria Francescana?), Serena rappresenta la sua personalità nel proprio locale. Una personalità calda ed accogliente, estroversa e luminosa. Calda come le originali luci che dominano le sale.

Luminosa come le vetrate che danno sul canale e i suoi argini verdi.

Il verde non manca nemmeno all’interno, dove piantine spuntano qua a là, a braccetto con alcuni stravaganti pezzi d’arredo. 

Un’inclinazione estroversa che si esprime nel cibo, dallo stile “estroso”, sia mai con eccesso. Quel pizzico di fantasia che dona ad una cucina “terrena” e “quotidiana” quel tocco in più per appagare il vostro spirito e sfamare il vostro corpo.
E’ un po’ come dire una … “tradizione in evoluzione”, che trasforma la semplicità in qualcosa di speciale (non vi ricorda un po’ forse Bottura e la disarmante semplicità del suo tortellino?). Tra i suoi 35 coperti Serena si muove con disinvoltura, proponendo un menù che varia spessissimo in base al guizzo del qui ed ora. La sommelier Marta se la cava egregiamente tra i tavoli, suggerendo gli abbinamenti perfetti tra una selezione fortemente ancorata al territorio veneto, dove non manca qualche chiccha del naturale e biodinamico. Considerando la velocità del menù, non avrà di che annoiarsi. Serena infatti, insieme a Marco, vi stupisce ogni volta con le sue creazioni che si intrufolano tra i must, quali la leggerissima ed onnipresente “ea fritureta de pesse”. Ad esempio? Lo spaghettino con bottarga di tonno, nocciole tostate e zenzero.

Il pesce spada affumicato in versione tonnè. Oppure, il polpo scottato su caviale di melanzana servito guarnito da pomodorini e burrata.

Tutti i dolci sono fatti in casa. Lasciatevi tentare dal gelato al gorgonzola, quel mix di dolce e salato che vi porterà alla pace dei sensi.
Chiudete la serata in bellezza, scambiando quattro chiacchiere con Serena che, nonostante la sua giovane età, vi rapirà con la sua storia.  Con un background completamente diverso, ha deciso di seguire un amico per un corso all’Alma, la scuola di cucina di Gualtiero Marchesi, e da lì, controcorrente, non è più tornata indietro, facendosi completamente da sola dopo un paio di esperienze negli stellati milanesi. Ammaliata dalle meraviglie dell’alta cucina, ogni anno dedica del tempo a viaggiare, Francia in primis, per arricchirsi sempre più.
DiMe, il nome del locale, che in veneto significa “dimmi”, è l’unica parola con la stessa pronuncia in tutti i dialetti veneti”,  ha spiegato Serena, a conclusione di una serata oserei dire perfetta.
Così perfetta che mi chiedo, anzi ti chiedo … “Dime, come mai tu non ci sei ancora stato?!”.            

  • PIZZE PARTICOLARI E GOURMET
  • RECENSIONE
  • CENA BLOGGER

scritto da:

Maria Isabella Rebecca

Sommelier curiosa, degustatrice eclettica oltre che cronica! A spasso per ristoranti e cantine, mi piace annusare, sorseggiare, assaggiare ed intervistare chef e vignaioli, condendo immancabilmente le loro storie con un pizzico di romanticismo!

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