Ingredienti e immaginazione, la ricetta per un’emozione

Pubblicato il 22 dicembre 2016

Ingredienti e immaginazione, la ricetta per un’emozione

Intervista a Carmine Calò, chef del Ristorante Borsari 36

Chef del Ristorante Borsari 36 fin dall’apertura, avellinese con l’Appennino nel cuore, Carmine Calò ha le radici salde nella tradizione contadina, il cuore tutto in cucina e lo sguardo rivolto al futuro. Sempre in cerca dell’emozione che nasce dagli ingredienti di stagione, lavora con l’immaginazione per infondere ai suoi piatti qualcosa di speciale, per creare un ricordo che farà tornare di nuovo alla sua tavola.

Quando e come è nata la tua passione per la cucina? 
La mia passione per la cucina è nata con me, siamo nati nello stesso giorno. So che può sembrare un luogo comune ma per me è vero, fin da bambino ho sempre amato cucinare, la dimostrazione è che non ho ricordi di giocattoli ma di pentole e padelle, erano quelli i miei giochi preferirti; pupazzi e macchinine non mi interessavano…

Veramente?
Sì, se soltanto mi davano un coperchio, io ero contento!

La tua famiglia com’era?
Sono originario di un paesino dell’appennino campano in provincia di Avellino e ho avuto la fortuna di cresce in una famiglia contadina; avevamo l’orto per il sostentamento e gli animali da cortile, mangiavamo ciò che producevamo, seguendo il ciclo delle stagioni, ricordo ancora gli inizi di maggio quando raccogliere le fragole era una festa! E poi i piselli, le fave, l’emozione di quando potevi finalmente mangiarli.

Cucinavate i prodotti della vostra terra?
Si cucinava tanto, tutti i giorni e quel cibo per me è un ricordo carissimo. La materia prima genuina arrivava nei nostri piatti e non era soltanto qualcosa di materiale, era un’emozione. Le tradizioni della mia famiglia e la stagionalità hanno influenzato da subito la mia cucina.

Chi è il tuo punto di riferimento in cucina?
Ne ho avuti diversi, legati alle fasi della mia crescita professionale, alla mia visione e al mio gusto del momento. Negli anni 2000 ciò che arrivava dalla Spagna era innovativo, mi piaceva la cucina di Ferran Adrià e dei fratelli Roca; poi ho avuto un ritorno alle origini e ho lavorato da Philippe Léveillé, uno chef bretone da vent’anni in Italia: lui ha una cucina che mi piace, fatta di materia prima, col cuore, concreta.

La tua filosofia in cucina è… 
La mia cucina è molto personale, è molto mia. Faccio scelte drastiche perché cucino solo cose che mangio e che mi piacciono, è importantissimo per me sentire delle emozioni: sono quelle che voglio suscitare in chi mangia i miei piatti, facendole arrivare da un ricordo, dalla novità, dalla bontà. 

Le tue parole chiave sono… 
Le parole chiave della mia cucina sono Ingredienti e Immaginazione. Gli ingredienti sono la materia prima, che è fondamentale e va ricercata sempre della massima qualità; e l’immaginazione è ciò che si mette in cucina per trasmettere un’emozione nel piatto.

C’è uno chef con cui ti piacerebbe lavorare a 4 mani?
Bella domanda! Ce ne sono diversi, ma penso allo spagnolo David Muñoz del ristorante Diverxo di Madrid, un tre stelle Michelin; Muñoz è ai vertici della ristorazione per un nuovo concetto d’interpretazione della cucina e mi piacerebbe capire dove sta andando, per anticipare i tempi.

L'ingrediente che ami cucinare e quello che, invece, non ti piace?
Difficile scegliere tra gli ingredienti, i principali sono tre, semplicissimi: pomodoro, mozzarella e basilico, li adoro! Se però devo scegliere fra questi, il basilico è quello che amo di più in assoluto. Invece non amo (e non cucino) la cacciagione volatile, il più odioso di tutti per me è il piccione… ma anche la quaglia si batte bene.

Cosa vuoi trasmettere con la tua cucina?
Emozioni. È l’emozione che ti fa ricordare una cena nel tempo. Qui da noi non si viene a mangiare tanto per mangiare, ma per vivere un’esperienza a 360 gradi, dall’accoglienza al servizio, dal cibo al vino; la mia speranza è cercare di mantenere il ricordo questa esperienza nella memoria, so che non è facile e proprio per questo le emozioni diventano un veicolo.

C’è un piatto che ti rappresenta perché ti piace? 
Preferisco lavorare sui primi piatti perché amo la pasta, per me è un alimento imprescindibile, che adoro e che non è mai mancato sulla tavola della mia famiglia. Prediligo le paste ripiene fatte in casa e le inserisco sempre nel nostro menù…

… quale troviamo adesso? 
Al momento, il mio preferito in carta è un Raviolo di baccalà con cimette di rapa, ragù di baccalà e liquirizia.

Il piatto a cui sei veramente affezionato?
È un piatto che resta fuori dal ristorante e dalla mia quotidianità, è la lasagna al forno alla napoletana (come la lasagna al forno alla bolognese, ma con ragù alla napoletana, con aggiunta di uova sode e polpettine ndr).

… il pasticcio!
Ah già qui, la chiamate pasticcio! Sì, è uno dei miei piatti preferiti in assoluto; è pesante, lo so, ma è fantastica, bisognerebbe fare un monumento a chi l’ha inventata! Mi piace proporla anche qui e l’ho fatto tante volte, ma mai nella versione classica, sempre in versione diversa e concettuale.

Chef, qual è la frase che la tua brigata ti sente pronunciare più spesso quando siete al lavoro? 
Le parolacce! No dai… c’è un concetto che ripeto ogni giorno ai ragazzi in cucina: devono sempre saper valutare se stanno facendo il massimo per il piatto cucinato. Devono chiedersi “È il massimo che sto facendo? Lo mangerei?”. Sui piatti, bisogna sempre mettersi in gioco in prima persona.

Qual è il riconoscimento a cui sei legato di più? 
Per me, il massimo riconoscimento è il cliente contento che viene a cena e poi ritorna; devo dire con soddisfazione che lo ricevo spesso. Di quelli “ufficiali” ne ho ricevuti diversi: Miglior chef emergente d’Italia nel 2008, Promessa stella Michelin nel 2009, primo posto all’Acquerello Risotto World Summit nel 2012 e questo lo ricordo perché gareggiavo con 19 chef stellati da tutto il mondo, e ho vinto con un piatto semplicissimo: risotto al parmigiano con sorbetto di pomodoro ed emulsione di basilico… Come vedi, con ingredienti e immaginazione si va dappertutto.

  • INTERVISTA

scritto da:

Camilla Cortese

Due lauree, otto redazioni, sette lavori, un licenziamento, due romanzi. Una casa, due gatti, trenta piante, milioni di parole. Del più brutto libro della storia salvo il titolo: Mangia (tutto), prega (la tua psiche), ama (te stesso e chi lo merita).

IN QUESTO ARTICOLO
  • Ristorante Borsari 36

    Corso Porta Borsari 36, Verona (VR)

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