Saint Patrick Beer Shop, un pezzo di New York e Londra nel cuore di Barletta

Pubblicato il 27 luglio 2020

Saint Patrick Beer Shop, un pezzo di New York e Londra nel cuore di Barletta

Intervista a Francesco Petruzzelli, proprietario

La birra è un mondo in continua espansione. I primi birrifici artigianali nati vent'anni fa, oggi si dilettano nella produzione di distillati e liquori aromatizzati al luppolo. La tradizione di cucinare con la birra sta influenzando i cuochi appassionati di storia culinaria, mentre in sala il pairing con la pinta giusta è ormai una gustosa consuetudine. Il cuore di Francesco Petruzzelli batte da sempre per la birra e già con il Saint Patrick aveva dimostrato tutto il potenziale della bevanda, portando per la prima volta la Guinness a Barletta. Ora si fa il bis con il Saint Patrick Beer Shop. Sei birre londinesi alla spina (di cui una ruota ogni mese), 240 etichette in bottiglia e un menu in continua evoluzione. Tutto intorno, tanta buona musica e un luogo dove coltivare nuove amicizie. Ecco la ricetta vincente di Saint Patrick Beer Shop raccontata da Francesco Petruzzelli.


Francesco Petruzzelli, chi ti ha segue sin dai primi tempi del Saint Patrick, sa che sei un punto di riferimento per gli amanti delle birre anglosassoni a nord di Bari. Dopo il progetto irlandese, oggi porti a Barletta le pinte inglesi e tante birre da tutto il mondo in un locale intriso di design industrial newyorkese. Com'è nata questa idea?

Il beer shop nasce negli Stati Uniti come un negozio in cui entrare e acquistare la propria bottiglia da portare a casa. Il Saint Patrick Beer Shop è la prima esperienza sul territorio della Bat, ma ha una differenza importante. Grazie a un intenso percorso di formazione che ci ha resi sommelier della birra, oggi siamo in grado di abbinare a   ogni nostro piatto la pinta adatta.

Quante birre è possibile trovare al Saint Patrick Beer Shop?


Abbiamo 240 birre in bottiglia e in barattolo. Poi ci sono le sei linee alla spina, tutte dedicate alla tradizione londinese, di cui cinque fisse e una riservata alla birra del mese. Un solo fusto, one shot: quando finisce, si passa a un'altra tipologia. Le proposte fanno capo a Marston's Brewery, una multinazionale che ha fatto un'operazione rivoluzionaria.

Cioè?

Facendo un'analisi del territorio londinese, l'azienda ha scoperto che una miriade di microbirrifici stavano chiudendo perché non avevano il denaro necessario per investire in nuove ricette o nuove attrezzature. Marston's ha stipulato con loro degli accordi in cui, a fronte di un importante investimento economico, il birrificio avrebbe poi venduto il proprio prodotto solo alla multinazionale, conservando il proprio marchio. Questa strategia è stata vincente.

Qual è stato il tuo primo bancone?


Ho iniziato quando avevo vent'anni in un'associazione culturale e politica a Barletta. Mi occupavo del banco del bar e della console da dj, utilizzata per le feste.

La musica è da sempre al centro dei tuoi locali...

Sono sempre stato un grande appassionato di musica: dopo la birra, è la mia altra grande passione. Dopo aver acquistato il mio primo disco degli U2, ho scoperto un'affinità culturale e politica con l'Irlanda, la cui storia d'indipendenza è molto simile alle vicende vissute in Italia durante la liberazione dal fascismo. Durante il mio primo viaggio in Irlanda ho scoperto la birra, lungo cammino che mi ha portato nel 1999 a creare il Saint Patrick Irish Pub. Qui ho iniziato la programmazione musicale, mettendo in cartellone cover band degli U2, ma anche gruppi blues, jazz.

Il Saint Patrick Beer Shop si ispira ai pub newyorkesi e non londinesi. Lo stile industrial, il ferro battuto, gli sgabelli alti e il grande divano Chesterfield al centro del locale fa pensare alla serie tv Friends. Come ti è venuta l'idea di creare un angolo di New York a Barletta?

New York è una delle città che negli anni Settanta ha contribuito alla nascita dei primi beer shop. L'arredamento, i materiali e i colori utilizzati erano gli stessi che ho scelto per il mio locale. I mattoncini rossi alle pareti li abbiamo installati sulla muratura in pietra e tufo di un palazzo storico del 1200. Li ho acquistati da un'azienda inglese che rileva i materiali durante le demolizioni di vecchi edifici, li restaura e li rivende. Avere tante birre da diversi paesi, oltre quelle londinesi, mi ha fatto pensare allo spirito di New York, un po' capitale del mondo, dove prendono vita tutte le nuove tendenze in campo enogastronomico.

Qual è la parola chiave del successo di questo locale?

Competenza. Io vendo un prodotto, ma anche l'idea che c'è dietro. Oggi, per essere vincenti, bisogna andare al tavolo e proporre l'abbinamento adatto tra un piatto e una birra, spiegando il perché di questa scelta.

Cosa può trovare chi viene al Saint Patrick Beer Shop?


Prima di tutto il Saint Patrick Beer Shop è un luogo di aggregazione e di socializzazione. Significa che venire a degustare anche solo una birra, può diventare un momento di incontro tra persone diverse e, perché no, favorire nuove amicizie. C'è il beer shop, dove comprare. C'è il bancone, dove degustare le birre alla spina. È possibile cenare. C'è anche della buona musica dal vivo, suonata proprio sul divano Chesterfield. Il mercoledì ci sono le jam session, mentre la domenica ospitiamo dei duo, che spaziano dai classici del blues al jazz. Si può anche mangiare o bere qualcosa, guardando una partita di calcio.

Come per il Saint Patrick, anche il Beer Shop presenta una cucina molto curata: si va da piatti vegetariani al pesce. Su cosa hai puntato di più e quanto c'è di Regno Unito in questa carta quasi ecumenica?

La carta nasce dall'idea di poter rispondere alle esigenze di tutti i nostri clienti. Ma le quaranta portate disponibili ruotano, a parte qualche portata chiave.

Tre portate da non perdere.


Per l'antipasto: il carpaccio di pesce fresco o la tartare di carne di Chianina o Black Angus argentino, che noi prepariamo sempre dal filetto. La pietanza più richiesta a cena è il Pulled Pork, una pietanza tipica anglosassone, realizzato dalla spalla del maiale messa a marinare in un mix di spezie. Viene servito in panino o al piatto, con patate arrostite o altri contorni. E poi, il Birramisù.

Una particolarità del menu è la pinsa, che non è proprio di queste parti... Ci spieghi cos'è e come ti è venuta l'idea di proporre questa specialità laziale?

La pinsa è stato il nostro compromesso per soddisfare gli amanti della pizza anche in questo locale.

Chi ha seguito la tua evoluzione di imprenditore, sa che dietro i tuoi banconi anche l'assortimento di superalcolici è curatissimo. Cosa trova l'appassionato di distillati nel tuo nuovo locale?

Abbiamo degli spirits prodotti dai luppoli. Teo Musso ci fornisce liquori al luppolo e al malto, dalle affumicature particolari. Li proponiamo dopocena. Abbiamo il Roach Gin, a base di luppolo, prodotto da un birrificio di Monopoli e premiato nel 2019 come miglior gin italiano al World Liquer Awards. Lo serviamo con la sua tonica o puro, in un tumbler basso, con qualche grano di pepe e foglie di rosmarino.

C'è spazio per il dolce? Come nasce la tua carta dessert?

Nelle mie cucine i dolci nascono dalla creatività di mia moglie Mariagrazia, che nella vita però fa tutt'altro. Ottima cuoca, da sempre propone e sperimenta con lo staff della cucina dolci classici rivisitati, come il Birramisù.

Chi c'è in cucina? Com'è organizzata la tua brigata?


C'è una grande sinergia tra sala e cucina. A pieno regime, siamo in dodici. C'è lo studio della pietanza. I bartender ne studiano il corretto abbinamento. Il personale di sala si forma per poter poi spiegare l'abbinamento al pubblico, studiando le caratteristiche degli alimenti abbinate al beverage. C'è l'assaggio, c'è la preparazione.

Cosa non ti si deve mai dire?

“Non me lo ricordo” o “Mi sono dimenticato”, detto da qualcuno del mio staff.

Cosa c'è di unico nel tuo locale?

La birra, protagonista assoluta, e le nostre competenze nel servirla.

  • GLI ADDETTI AI LAVORI

scritto da:

Stefania Leo

Giornalista e appassionata di cibo, amo vedere e raccontare tutte le storie che si intrecciano in un piatto. Cucino, leggo e non mi fermo davanti a nessun ingrediente sconosciuto: è solo il punto di partenza per un nuovo viaggio gastronomico.

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