Storici giapponesi di Milano che vanno ancora un sacco
Pubblicato il 21 novembre 2025
A Milano l'autentica cucina giapponese ha combattuto e vinto la sua guerra più dura: quella contro l'omologazione. Molto prima che il sushi diventasse un fenomeno di massa o che il ramen si elevasse a tendenza street food, c'erano loro: i pionieri, i maestri e i veterani che, zitti zitti, hanno portato il vero sapore del Sol Levante a Milano.
Questi ristoranti sono capitoli di storia gastronomica, testimoni di un'evoluzione culturale che ha trasformato il rapporto dei milanesi con il cibo orientale. Attraverso le storie di sei locali iconici — Poporoya, Osaka, Kisen, Oasi Giapponese, Yoshinobu e Nishiki — tracciamo la mappa di una Milano che ha imparato a distinguere il sushi vero dalla sua pallida imitazione, un percorso di educazione al gusto che ha richiesto decenni di dedizione.


Non si può parlare di sushi a Milano senza inginocchiarsi (virtualmente) davanti al bancone di Poporoya (Via Bartolomeo Eustachi 17).
Poporoya è una bottega, un'istituzione, una leggenda nata quando la parola "sushi" suonava ancora esotica e misteriosa alle orecchie dei milanesi. Il suo fondatore, lo chef Shiro (Hirazawa Minoru), è l'uomo che, di fatto, ha insegnato a Milano a mangiare il sushi. L'atmosfera è spartana, quasi ascetica: niente luci soffuse o decorazioni zen, solo l'essenziale. Le code sono leggendarie, specialmente a pranzo, quando lavoratori e appassionati si accalcano per uno dei pochi posti disponibili. L'attenzione è tutta sul prodotto, senza distrazioni. Qui non si bada al design minimal-chic: si bada al riso perfetto, cotto alla temperatura giusta, condito con l'esatto equilibrio di aceto, e al pesce tagliato con precisione chirurgica.
Poporoya rappresenta la resistenza popolare, il sapore democratico della vera cucina giapponese. Ha dimostrato che il lusso non sta nel contesto, ma nel contenuto. Il suo Chirashi — una ciotola traboccante di pesce freschissimo su un letto di riso — e il suo Futomaki sono il banco di prova per ogni milanese: se non sei stato da Shiro, non puoi dire di aver conosciuto davvero il sushi. È un rito di passaggio culinario che ha formato intere generazioni di palati.
Osaka (dal 1999, ora in Via Anfiteatro 6) ha ampliato l'orizzonte, dimostrando che il Giappone culinario è molto più di riso e pesce crudo.
Nato in centrissimo alla fine degli anni Novanta, in un'epoca in cui la cucina giapponese stava ancora cercando la sua legittimazione, Osaka è uno dei più antichi ristoranti tradizionali e vanta il merito di essere stato uno dei primi in assoluto a proporre il ramen in città, anticipando la moda di oltre un decennio. L'ambiente è classico ma accogliente, con uno staff spesso in kimono che contribuisce a creare un'atmosfera di rispetto per la tradizione. L'attenzione è distribuita tra il bancone del sushi, dove i maestri lavorano a vista, e la cucina calda, da cui escono piatti fumanti e profumati.
Si può ammirare la tecnica del sushi master mentre si assaporano i piatti che narrano la storia culinaria del Giappone: il sukiyaki (la pentola calda dove carne e verdure cuociono in un brodo dolce), la tempura leggerissima e croccante, i classici gyoza dalla sfoglia sottilissima. Il menù è un viaggio attraverso le regioni del Sol Levante, dalle coste pescose di Hokkaido alle montagne di Nagano.
Il suo successo di oltre due decenni risiede nella capacità di essere un ponte culturale, offrendo un'esperienza completa e autentica. Il fatto che sia frequentato spesso anche dalla comunità giapponese e orientale di Milano è sempre un buon segno: quando i nativi scelgono un posto per sentirsi a casa, significa che quel posto ha passato l'esame più severo. Osaka ha educato i milanesi alla complessità della cucina nipponica.
Lontano dai riflettori del centro, in zona Primaticcio, nel quadrante ovest spesso trascurato dalle guide turistiche, resiste un altro nome sacro per gli intenditori: Oasi Giapponese (Via Privata Montecuccoli 8).
Definita da chi la ama una "trattoria tipica" o un locale "genuino", Oasi Giapponese incarna la resistenza del ristorante di quartiere che non si piega alle sirene del marketing. È un locale di una semplicità disarmante, quasi umile, che mette la qualità e la fedeltà alla tradizione davanti a tutto il resto.
La sua longevità è il risultato di un passaparola costante tra chi cerca il sapore vero, senza mediazioni o adattamenti per il palato occidentale. È il tipo di posto dove il cliente diventa abituale, dove si conoscono i nomi e le preferenze, dove la cucina si prende il tempo necessario perché nulla può essere affrettato.
Oasi Giapponese è il porto sicuro per chi vuole assaggiare le specialità del Sol Levante senza contaminazioni, in un ambiente che ricorda quasi una casa giapponese più che un ristorante milanese. Qui si può ancora sentire il profumo del dashi preparato al mattino, vedere le mani esperte che formano gli onigiri, assaporare la cura artigianale.

Passando ai veterani che hanno codificato la scena più contemporanea, ma che hanno comunque superato la soglia dei due decenni (o sono molto vicini), troviamo due nomi che rappresentano la precisione tecnica e l'eleganza discreta, due facce della stessa dedizione.
Kisen (Via Gian Giacomo Mora) è la dimostrazione che si può resistere per vent'anni (dal 2005) senza rinunciare alla personalità. Situato strategicamente tra Porta Ticinese e Corso Genova, in una delle zone più dinamiche e cosmopolite di Milano, Kisen è riuscito a non cadere nella trappola del fusion eccessivo, quel calderone confuso dove tutto si mescola perdendo identità.
La cucina di Kisen non è solo sushi, ma un'arte che dialoga con la città senza snaturarsi. I suoi handrolls croccanti, i nigiri dalla forma perfetta e le sue creazioni stagionali non sono un'improvvisazione, ma un'evoluzione meditata della tradizione, con un'attenzione maniacale per il taglio, la temperatura e la freschezza. Ogni boccone racconta un equilibrio studiato, dove l'innovazione rispetta sempre la matrice classica.
Yoshinobu (oggi in Via Galileo Galilei 5) è l'emblema della qualità senza compromessi, un tempio della rigore dove ogni dettaglio conta.
La sua recente rilocazione, un trasferimento che potrebbe aver spaventato altri ristoratori, testimonia invece la forza di un progetto basato sulla tecnica rigorosa e su una clientela fedelissima che segue la qualità ovunque essa vada. Yoshinobu è un avamposto della precisione, dove ogni piatto, dal sushi più semplice al complesso Kaiseki (il menù degustazione tradizionale giapponese, composto da numerose portate in sequenza armonica), è trattato con serietà quasi cerimoniale.

La scelta degli ingredienti è maniacale, la preparazione segue codici antichi, il servizio è attento ma mai invadente. È la prova che l'impegno costante nella ricerca della perfezione paga, anche in un mercato volatile e spesso superficiale come quello milanese.


Infine, Nishiki (Corso Lodi 70) rappresenta l'indirizzo consolidato nel quadrante sud di Milano, una zona che per anni è rimasta ai margini della rivoluzione gastronomica ma che ha saputo costruire le sue solide tradizioni.
La sua lunga storia lo colloca tra i veterani autentici, un luogo che ha saputo evolversi mantenendo una buona reputazione per la sua offerta asiatica, che spesso spazia oltre i confini del solo Giappone, abbracciando anche specialità cinesi e thailandesi. Questa scelta, che potrebbe sembrare una diluizione dell'identità, è invece una strategia di sopravvivenza intelligente: offrire varietà senza perdere qualità.
Nishiki è un esempio di come un ristorante possa resistere per anni, attraversando crisi economiche e cambiamenti di tendenza, diventando un punto di riferimento per il quartiere, un luogo dove generazioni diverse si incontrano.
La sua longevità si basa sulla capacità di offrire un ambiente accogliente, quasi familiare, e un prodotto affidabile e curato.
ha insegnato che il gusto è sincero, non artefatto, che la semplicità è l'apice della sofisticazione. Osaka ha mostrato la completezza della cucina giapponese, il suo respiro profondo che va oltre il pesce crudo. Kisen e Oasi Giapponese hanno incarnato due forme di resistenza: quella elegante e urbana, e quella popolare e periferica, entrambe necessarie. Yoshinobu ha spinto l'asticella della tecnica fino a livelli quasi inaccessibili, dimostrando che l'eccellenza è un cammino senza fine. Nishiki ha rappresentato la tenacia del ristorante di quartiere, quello che non fa rumore ma che rimane, anno dopo anno.
La Milano di oggi è piena di insegne luminose, di formule all you can eat, di fusion confusi e di mode passeggere. Ma solo questi locali, e poche altre realtà simili, possono raccontare la fatica, la pazienza e l'onestà necessarie per servire il vero gusto giapponese per decenni.
Si tratta in sostanza di assaggiare la memoria storica di Milano, quella che si nutre di riso e pesce crudo, preparato come si deve. È toccare con mano (e palato) la prova che la qualità vera non invecchia mai, che l'autenticità è più forte delle tendenze, che il sapore onesto vince sempre. Questi ristoranti sono monumenti viventi, archivi del gusto che continuano a scrivere la loro storia, un nigiri alla volta.
In copertina: Poporoya.
Foto tratte dalle pagine FB e IG dei rispettivilocali.
scritto da:
Giornalista enogastronomica con il cuore nel calice e la penna nel piatto. Assaggiatrice di vino e olio EVO, racconto sapori, storie e territori. Collaboro con testate di settore e, quando viaggio, traccio percorsi tra cantine, trattorie e ristoranti autentici, sempre alla ricerca del bello e del buono
Via Gian Giacomo Mora 9, Milano (MI)